The European Heritage Project by Peter Löw
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L’antico monumento gotico bizantino era la prestigiosa residenza della nobile famiglia Tron, i cui membri ricoprirono importanti cariche politiche nel corso della storia della Repubblica.

Maestosamente affacciato sul ponte di Rialto e con accesso diretto al Canal Grande, il mirabile Palazzo Tron a San Beneto si trova a San Marco, il nucleo amministrativo della storica Repubblica di Venezia. L’antico monumento gotico bizantino era la prestigiosa residenza del celebre ramo dei San Beneto della nobile famiglia Tron, i cui membri ricoprirono importanti cariche politiche nel corso della storia della Repubblica. Tra gli altri, Nicolò Tron fu il 68° Doge di Venezia dal 1471 al 1473, e probabilmente commissionò lui la ricostruzione del palazzo dell’VIII secolo e l’aggiunta di altri due piani. Durante l’acquisizione del piano nobile, del piano di rappresentanza e dell’appartamento principale del palazzo dalla nobile famiglia Franchetti nel 2018,

il EUROPEAN HERITAGE PROJECT era ben consapevole dell’importanza culturale e della rilevanza storica dell’edificio, che ha ulteriormente abbracciato il suo ruolo passato di luogo di ispirazione e scambio sociale. Uno dei tanti esempi delle storie affascinanti che l’edificio ha da raccontare è un’accattivante foto della diva del cinema italiano Sophia Loren affacciata sul Canal Grande in una delle sue pose più epiche, scattata durante il suo soggiorno al palazzo mentre partecipava alla Mostra del Cinema di Venezia del 1955.

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Durante gli anni ’40, inoltre, ospite frequente del palazzo fu il romanziere americano Ernest Hemingway, che divenne un buon amico dell’ex proprietario del palazzo, il mondano barone Nanyuki Franchetti. Hemingway si sarebbe addirittura ispirato alla figura di Franchetti per il personaggio del Barone Alvrito del romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi”, pubblicato nel 1950.
Il EUROPEAN HERITAGE PROJECT è orgoglioso di far rivivere lo splendore e lo spirito originali di Palazzo Tron avviando misure generali di restauro, per lo più riguardanti aspetti tecnici, sanitari ed elettronici, e la ricostruzione completa della facciata.
Poiché il palazzo è parte essenziale dell’insieme del patrimonio mondiale dell’UNESCO , il EUROPEAN HERITAGE PROJECT intende inoltre sostenere la rinascita della chiesa confessionale della famiglia Tron, la Chiesa di San Beneto, ora temporaneamente chiusa. Essa non solo affianca direttamente il palazzo, ma ne porta anche il nome.
Chiesa e palazzo riflettono ancora i due poteri, temporale e spirituale, che dominavano le credenze del vecchio mondo.

SITUAZIONE ALL’ACQUISTO

Dopo generazioni di residenza della nobile famiglia veneziana Franchetti, il Barone Alberto Franchetti, in seguito al suo divorzio, ha deciso di vendere la proprietà, dopo che i suoi figli hanno rinunciato al palazzo cittadino. Allo scopo personale di rimettere in buone mani la proprietà di famiglia, nel 2018 lo stesso ha venduto il Palazzo Tron a San Beneto all’EUROPEAN HERITAGE PROJECT.

TENUTA: NUMERI E FATTI

Con vista sul noto Ponte di Rialto e un passaggio diretto al Canal Grande, il Palazzo Tron a San Beneto è situato al centro di Venezia, sull’Isola di San Marco. Il palazzo a quattro piani, che fu ristrutturato e ampliato nel XIII secolo e rispettivamente nei XV, XVI e XIX secolo, possiede, incluso il piano nobile di rappresentanza, una superficie abitabile e d’uso di 1455 metri quadrati. L’edificio strutturato in stile gotico bizantino veneziano si trova nelle immediate vicinanze del Museo Palazzo Fortuny, del Teatro dell’Opera La Fenice e del Teatro Goldoni.

STORIA

XIII e XIV secolo: ripresa economica e influenze orientali

Alla luce dell’architettura del Palazzo Tron a San Beneto, si può supporre che il Palazzo con le sue fondamenta, il pianterreno e il primo piano, sia stato edificato al più tardi nel XIII secolo. A volte, nelle pareti dell’ormai fortemente sprofondato pianterreno, si trovano alcuni mattoni, che sono attribuibili al tardo impero romano e venivano impiegati nell’architettura di Venezia tra il IX e il XIII secolo. Da alcuni campioni prelevati dalla facciata è stato dimostrato qualche anno fa che per il Palazzo si tratta di uno degli oggetti più antichi situati sul Canal Grande.
Il Gotico arrivò in un periodo di maggior benessere per Venezia, quando l’aristocrazia iniziò a finanziare personalmente la costruzione di nuove chiese, nonché fastose dimore signorili. Tramite l’ampliamento del palazzo, il Gotico veneziano divenne uno stile autonomo. Il creatore di questo nuovo stile, che venne influenzato dal palazzo dei Dogi, combinò elementi gotici, bizantini e orientali, inventando così un approccio del tutto nuovo e unico all’architettura locale.
Gli architetti del XIV secolo preferirono l’utilizzo di disegni più complessi, simili a quelli che si ritrovano nel simbolo del gotico veneziano, il Palazzo dei Dogi. La cisterna a forma di fontana, installata nel 1319, che ancora oggi si trova nel cortile del palazzo e che riporta lo stemma della famiglia Tron, dimostra che l’edificio in questo periodo apparteneva già alla famiglia residente. Dopo le conquiste dei Mongoli, i commercianti veneziani e i commercianti delle città rivali, tra circa il 1240 fino al 1360, arrivarono in Persia e in Asia centrale, nel contesto della cosiddetta Pax Mongolica. C’erano piccole colonie veneziane di commercianti ad Alessandria come a Costantinopoli. I rapporti di Venezia con l’Impero Bizantino erano ancora più stretti e complicati, come quelli con i territori di dominio islamico e portarono a molte guerre, ma anche a promettenti accordi economici e culturali. Durante questo periodo, l’economia veneziana era quindi fortemente collegata col commercio, nonché con il mondo islamico e l’Impero Bizantino, cosa che si rispecchia al contempo anche nello stile architettonico del gotico veneziano, uno stile che collega a livello mondiale, in un modo unico nel suo genere, il Gotico nordeuropeo con le caratteristiche bizantine e moresche. Questo potpourri stilisticamente straordinario è ancora oggi visibile – specialmente sulla facciata – nel Palazzo Tron a San Beneto.

XV secolo: sull’ascesa dei Tron a San Beneto

Fin dall’inizio, i Tron occuparono importanti posizioni all’interno della Repubblica di Venezia e servirono spesso come procuratori, senatori e ambasciatori. La famiglia guadagnò, dal XV secolo, sempre più importanza nel commercio marittimo e nel governo locale di Corfù e Creta.
L’origine della famiglia non è chiara, genealogisti di corte del XVIII secolo hanno ipotizzato che fosse originaria di Ancona. È stato altresì accertato che i Tron costruirono, nell’XI secolo, la distrutta Chiesa di San Boldo a Venezia. Inoltre, risulta che a Venezia, nel 1159, c’era registrato un certo Marco “Truno” presso San Stae. Comunque, i Tron figuravano tra le cosiddette case nuove, le famiglie nobili non apostoliche di Venezia.
Ubicato vicino alla Parrocchia di San Beneto, che oggi dà il nome al Palazzo, rappresentava il ramo della famiglia dei Tron a San Beneto. Una grande modifica architettonica fu apportata con la ristrutturazione del palazzo sotto Nicolò Tron (1399-1473), il 68° Doge di Venezia e più famoso titolare dell’identità della famiglia, che fece ampliare la proprietà di un secondo piano.
Nicolò Tron era figlio di Luca Tron e aveva almeno tre fratelli. Si sposò con Aliodea Morosini (†1478), che veniva chiamata in gergo popolare ‘Dea Moro’, la dea nera. Dea fu descritta dal cronista del Palazzo dei Dogi come la massima bellezza del secolo. Leggende narrano che la sua bellezza – a causa dell’enorme culto della bellezza nella Venezia di quel tempo – fu di grande importanza per la scelta di suo marito tra i Dogi. In quanto figlia di Silvestro Morosini, proveniva inoltre da una delle famiglie più antiche e potenti, come il suo consorte Nicolò. La sua incoronazione a Dogaressa viene descritta come la più maestosa della storia di Venezia. Grazie alla sua modestia, dopo la morte di suo marito si trasferì in un convento e rifiutò i funerali di stato che spettavano al suo rango.
Dea e Nicolò Tron ebbero due figli, Filippo e Giovanni. Giovanni subì un terribile destino, in quanto ucciso barbaramente nel 1471 durante la prigionia turca. Nicolò Tron accumulò un’enorme ricchezza in brevissimo tempo come commerciante. In servizio a Venezia, ha rivestito varie cariche. Ad esempio, fu Consigliere in questioni marittime e ambasciatore sotto Papa Pio II (1405-1464). Nel 1466, fu nominato Procuratore di San Marco. Tron prevalse nella nomina del Doge del 1471 contro il suo prossimo successore Pietro Mocenigo (1405-1476), e anche sul 71° Doge di Venezia Andrea Vendramin (1393-1478). Durante il suo Dogato, fu consolidata la sovranità di Venezia su Cipro e ridotte le controversie con i turchi attraverso un’alleanza con il governante iraniano Ulsan Hassan Beg (1423-1478). Attraverso la sua abile politica, egli assicurò alla Repubblica un periodo di pace. Tuttavia, sotto il mandato dei Tron, si rafforzò anche il debito della città, a causa, tra le altre cose, del potenziamento dell’arsenale, che dal XII secolo era servito da cantiere navale, arsenale e base navale della Repubblica di Venezia.
Tron riformò inoltre il sistema monetario. Coniò una nuova moneta, il Tron, che riportava sul retro la testa del Doge di profilo, ad imitazione delle monete antiche, e che violò per questo le pratiche veneziane, nelle quali ogni genere di culto personale nell’ambito della Repubblica veniva rifiutato. Dopo la sua morte, la moneta fu tolta dalla circolazione. La tomba di Niccolò Tron fu realizzata da suo figlio Filippo nel Coro della chiesa di Santa Maria Gloriosa Dei Frari, nel quartiere San Polo. Il progetto e la costruzione dell’opera furono assegnati al costruttore e architetto Antonio Rizzo (1430-1499). Il monumento venne finanziato, come afferma il suo epitaffio, con il bottino che i Tron accumularono durante le guerre turche.

XVII-XVIII secolo: promozione delle Belle Arti, l’estinzione dei Tron e lo scandalo di Caterina Dolfin

Nel XVII secolo, i Tron occuparono posti sempre più importanti all’interno della Repubblica di Venezia, iniziando ancor più a dedicarsi alla promozione della cultura. Così, i fratelli Francesco ed Ettore Tron, sempre per il ramo familiare di San Beneto, fondarono nel 1637 il Teatro San Cassiano, il primo teatro pubblico al mondo a non essere dedicato esclusivamente alla nobiltà. Questo permise ai cittadini comuni, fintanto che potevano permettersi l’ingresso, di godersi l’opera per la prima volta, avvicinando allo steso tempo la popolare Commedia dell’arte alla nobiltà.
All’inizio del XVII secolo, il diplomatico, politico e agronomo Nicolò Tron (1685-1771) – che aveva lo stesso nome del suo predecessore – assunse l’eredità e lasciò il Palazzo al suo figlio maggiore Andrea Tron (1712-1785). Andrea fu Procuratore di San Marco, ambasciatore a Vienna, Parigi e Roma e uno dei due maggiori candidati per il Dogato nel 1779, che, tuttavia, perse, a causa dei numerosi scandali di sua moglie Caterina Dolfin (1736-1793).
Tristemente nota per le sue opinioni, le sue azioni, nonché il suo passato, Caterina può essere considerata, da un punto di vista storico, come la più rinomata, se non più importante, personalità all’interno di questo matrimonio.
La famiglia Dolfin apparteneva da secoli a una delle stirpi patrizie veneziane più importanti, oltre ad essere annoverata tra le dodici cosiddette famiglie “apostoliche” di Venezia, dato che rappresentava un ramo della famiglia Gradenigo. Caterina era la figlia del Nobiluomo Antonio Giovanni Dolfin e la Nobildonna Donata Salamon, che proveniva al contempo da un’antichissima famiglia nobile veneziana.
Il padre di Caterina finì col perdere da vivo i beni di famiglia, lasciando alla sua morte, nell’anno 1753, ingenti debiti a sua moglie e a sua figlia.
Nel 1755, la giovane Caterina contrasse un matrimonio combinato con Marcantonio Tiepolo, un membro di una famiglia nobile molto influente, che possedeva i mezzi finanziari per liberare i Dolfin dai loro debiti. Sulle nozze di Caterina e Marcantonio si speculò molto tra la società veneziana. In questo contesto si insinuò che Caterina, nel 1756, a soli pochi mesi dal suo matrimonio, avesse intrecciato una relazione amorosa con Andrea Tron. Subito dopo l’inizio della storia d’amore, Caterina chiese il divorzio, e la questione divenne oggetto di un grande scandalo. Dopo anni di battaglie legali, il divorzio fu concesso nel 1772, dopo di che Caterina sposò Andrea Tron, che da questo momento in poi sfruttò il suo matrimonio per entrare nelle più alte sfere della società veneziana, riuscendo finalmente ad occupare la prestigiosa carica di “Procuratore di San Marco”.
Nel 1757, Caterina debuttò come scrittrice sotto pseudonimo. Il suo lavoro più famoso fu una raccolta di sonetti, che erano ispirati da suo padre e furono pubblicati tra il 1767 e 1768. La stesa rappresentò così il punto centrale di una cerchia di intellettuali, presiedendo uno stimato salone letterario. Nell’anno 1772, fu citata in giudizio dall’inquisizione veneziana, in quanto alcune delle opere che si trovavano nella sua biblioteca contenevano idee illuministe.
Caterina Dolfin non ha tuttavia utilizzato soltanto la sua poesia, l’arte della conversazione e la rilevanza intellettuale per scioccare la società veneziana. Si parlò anche delle sue numerose tresche amorose. Uno dei suoi più noti amanti era, presumibilmente, il giovanissimo ottenne Duca di San Gabrio Gian Galeazzo Serbelloni (1744-1802). Secondo la loro corrispondenza, che è conservata ancora oggi, la loro storia potrebbe essere iniziata nel 1773. Nel 1778, Andrea Tron, marito di Caterina, fu nominato senatore. Questi perse, tuttavia, la nomina a Doge del 1779, nonostante fosse uno dei due maggiori candidati. Questo è da attribuire in parte ai precedenti scandali di Caterina, ma anche alla sua partecipazione allo “Affare Gratarolo”, che prende nome dal ministro degli esteri veneziano Antonio Gratarolo. Nel 1775, un’opera teatrale, che fu probabilmente commissionata da Caterina, rivelò gli intrighi politici e gli affari privati di Gratarolo. Nello stesso anno, in cui Andrea Tron fece domanda per l’incarico di Doge, Gratarolo rispose agli insulti con un’opera vendicativa, che caricaturava Caterina Dolfin e la sua cerchia sociale, smascherava le sue relazioni amorose e infangava pubblicamente i loro nomi e il prestigio. Il pezzo teatrale distrusse così la possibilità di Andrea Tron di diventare Doge, nonostante si scoprì che il candidato vincitore aveva una moglie, la quale, in quanto borghese ed ex equilibrista, era ancora più inadeguata al titolo di Dogaressa.
Nel 1785, Caterina Dolfin diventò vedova. Aveva ereditato un notevole patrimonio, che però perse in un contenzioso con i suoi ex suoceri. Nel 1788, si trasferì definitivamente dal Palazzo Tron alla sua seconda residenza a Padova. Nei suoi ultimi anni, lavorò ad un progetto per la riforma dell’istruzione femminile, che tuttavia non fu mai portato a termine.

Fine del XVIII secolo e XIX secolo: un periodo di intensi cambi di proprietà

Quando, alla fine del XVIII secolo, con Chiara Tron, che finì la sua vita senza figli, il ramo dei Tron a San Beneto si estinse, la proprietà passò, tramite il marito di Chiara, in diretta eredità alla famiglia patrizia Donà Dalle Rose. Tuttavia, in questo passaggio, si arrivò a contenziosi ereditari, in quanto il ramo dei Tron a San Stae reclamava per sé il Palazzo. Comunque, i Donà Dalle Rose riuscirono ad avere la meglio sui Tron a San Stae davanti alla corte.
Successivamente, il Palazzo, ad eccezione del secondo piano, fu venduto alla famiglia di commercianti Vivante. La famiglia era tradizionalmente benestante, ma a causa dello scioglimento della Repubblica di Venezia, nell’anno 1787, la città subì una grave crisi finanziaria. Solo un ramo dei Vivante, i due figli di Lazzaro, Mandolin – denominato Menachem – e Sabbato, riuscì a superare finanziariamente la lunga crisi. Uno dei fattori di questo successo fu la politica matrimoniale della famiglia, che si unì a una delle più importanti famiglie giudee di alto livello socio economico, i Treves de Bonfili. Dunque, i due figli sposarono due delle figlie del Barone Giuseppe Treves de Bonfili (1794-1866). Entrambe le famiglie erano ugualmente attive nel settore marittimo e assicurativo. Dopo la morte di suo fratello, Sabbato continuò l’attività e fondò nel 1832 la sede veneziana della compagnia assicurativa Generali di Venezia, all’epoca Assicurazioni Generali Austro-Italiche. Nel 1848, un anno prima della sua morte, vendette la sua parte della società di assicurazioni a Spiridione Papadopoli (1799-1859). Nel frattempo, la banca centrale italiana, Banca d’Italia, acquistò il Palazzo, con lo scopo di stabilirvi la sua sede di Venezia, tuttavia la proprietà fu venduta alla fine del XIX secolo alla famiglia Rocca, originaria di Padova. La famiglia Rocca dovette far restaurare su vasta scala il palazzo cittadino per la prima volta dopo secoli. Inoltre, a questo periodo risale l’attuale Corte Tron recintata, il cortile interno del Palazzo, incluso l’ascensore.

Fine del XIX secolo ad oggi: Spedizioni, ospiti illustri ed Enti in Casa Franchetti

La linea della Vivante finì nel XIX secolo e così il Palazzo Tron a San Beneto passò alla famiglia Franchetti. I Franchetti erano una famiglia giudea insediata da molte generazioni a Venezia, che dal XVIII secolo era annoverata tra le più ricche famiglie nell’area mediterranea. Nel corso della politica sui diritti di uguaglianza nel XIX secolo, la famiglia fu elevata al rango di nobiltà. Tramite il matrimonio del Barone Raimondo Franchetti con Luise Sarah Rothschild (1834-1924) – del Casato viennese di Rotschild – il prestigio della famiglia crebbe ulteriormente. Dal matrimonio, nacque il compositore Alberto Franchetti (1860-1942). Suo figlio, Raimondo Franchetti (1889-1935), è rimasto nella memoria come uno dei componenti più famosi della famiglia. Fino alla sua morte in un disastro aereo nel deserto egiziano, Raimondo Franchetti si fece un nome come ricercatore con i suoi studi di etnologia e natura. Particolare popolarità la dovette al fatto che le sue spedizioni in nord America, Malesia, Annam – oggi una parte del Vietnam –, Uganda, Kenia, Etiopia e nel Sudan sono state testimoniate con fotografie e riprese cinematografiche. Al contempo, lo stesso documentò la Rivoluzione di Xinhai (1911/12); dalla caduta dell’Imperatore cinese, fino alla fondazione della Repubblica della Cina.
Nel 1920, sposò la Contessa Bianca Moceniga Rocca (1901-1958), alla cui famiglia apparteneva il Palazzo Tron a San Beneto in quel periodo. Grazie a quel matrimonio, l’ex sede di famiglia passò di nuovo ai Baroni Franchetti.
Come testimonianza dell’amore per luoghi e culture remote, Raimondo e Bianca Franchetti diedero ai loro cinque figli nomi dal suono particolarmente esotico, Lauretana, Simba, Lorian, Afdera e Nanuk. Dopo la morte di Raimondo Franchetti, i suoi figli fecero del Palazzo Tron a San Beneto un movimentato spazio sociale. Infatti, qui hanno alloggiato numerosi calibri del cinema europeo e americano, come ad esempio Sofia Loren (*1934), quando fu invitata come ospite per il Film Festival di Venezia. Una foto, ripresa sul balcone del Palazzo e che ritrae la diva italiana del cinema in una delle sue foto più famose, ne è ancora oggi testimonianza. Parimenti il romanziere americano Ernest Hemingway (1899-1961) negli anni ’40 fu spesso ospite gradito al Palazzo Tron a San Beneto e divenne nel frattempo anche un amico dell’ex proprietario del Palazzo, il Barone Nanuk Franchetti. Così, per Franchetti e Hemingway divenne una tradizione annuale, recarsi insieme alle battute di caccia autunnali a Cortina d’Ampezzo, dopo aver trascorso l’estate a Venezia. Franchetti servì persino come modello per il personaggio letterario del Barone Alvarito nel romanzo di Hemingway pubblicato nel 1950 “Di là dal fiume e tra gli alberi.”
In particolare, Afdera Franchetti (*1931) frequentò già molto presto la nobiltà britannica e l’intero Jet-Set europeo. Il suo primo matrimonio con Howard Taylor (1929-2017), il fratello maggiore dell’icona del cinema Elizabeth Taylor (1932-2011), le aprì la porta alla cerchia dei più famosi calibri di Hollywood.Così arrivò a conoscere ad esempio Audrey Hepburn (1929-1993) negli anni ’50. La Hepburn le presentò Henry Fonda (1906-1982), di circa 26 anni più vecchio, uno dei più importanti attori della storia del cinema fino ad oggi. Afdera sposò Fonda nel 1957, ma entrambi decisero di divorziare già nel 1961, perché la differenza di età della Baronessa era troppo grande.

Nicolò Tron, 1471


Lato frontale della moneta Tron


Tomba del doge Nicolò Tron


Andrea Tron


Andrea Tron e Caterina Dolfin


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Teatro San Cassiano


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Raimondo Franchetti


Sophia Loren, 1955

INFORMATIONS PRÉCIEUSES ET CURIEUSES

Chiesa di San Beneto

La chiesa di San Benedetto, in gergo popolare anche detta anche San Beneto, era l’eponimo del ramo San Beneto della Famiglia Tron e si trova nelle immediate vicinanze del Palazzo, che prende anch’esso il nome dalla chiesa. L’edificio sacro esiste già dal 1013 e rientra nella giurisdizione del convento dei Benedettini San Michele di Brondolo, presso Chioggia. Nel 1435, l’edificio fu promosso dal Vescovo di Castello al grado di collegio. Originariamente edificata di modeste dimensioni e in stile romanico, la chiesa era orientata ad est e consisteva di tre navate con un tetto di legno.
I lavori di restauro del XVII secolo modificarono l’orientamento originale e la prolungarono verso nord, cosicché formasse una navata unica. L’attuale progettazione barocca risale alla ricostruzione nel 1619, che fu realizzata dal Patriarca di Venezia, Giovanni Tiepolo (1570-1631), in quanto l’edificio, stando ai documenti, a quell’epoca era fortemente danneggiato e a rischio di crollo. La consacrazione della chiesa in onore di San Benedetto seguì nell’anno 1695.
All’interno della chiesa, si trovano lavori d’arte di noti artisti italiani di orientamento barocco, come il fiorentino Sebastiano Mazzoni (1611-1678), Bernardo Strozzi (1518-1644), originario di Genova, e il veneziano Giovanni Battista Tiepolo (1696-1779).
La facciata è suddivisa in tre parti da colonne, che poggiano su semplici piedistalli e terminano con capitelli. Su questi, posa una cornice, che sostiene una trabeazione, nei cui fregi è incisa la scritta “D. BENEDICTO”. Subito sotto, c’è una finestra diocleziana. Altre due piccole finestre ad arco, che si trovano sul punto centrale più alto della facciata, fiancheggiano un portale, con un timpano triangolare sostenuto da un portone d’ingresso.
Un tempo, c’era un campanile ad ovest, costruito più alto rispetto all’edificio e in stile romantico, che era comunque integrato nella facciata ed era visibile dal cortile del Palazzo Tron insieme alla copertura conica.
Il campanile, costruito nel XVII secolo, che è di dimensioni notevolmente più modeste, si trova ora a nordovest ed è coronato da un tetto a cipolla.
Nel frattempo, San Beneto venne degradata da parrocchia autonoma a vicariato della chiesa di San Luca ed è al momento chiusa per la funzione religiosa.

Dal libertino Conte Giuseppe Giacomo Albrizzi e ”Ebe” di Canova

Nel 1792, un certo Giuseppe Emanuele (†1841) si separò dalla sua famiglia giudea, per godere del suo diritto di diventare unico proprietario. Già in giovane età, rivelò un carattere piuttosto anticonformista. In base ad una serie di denunce, Giuseppe Emanuele fu perseguitato durante la sua vita dagli Inquisitori della Repubblica. Insieme ad un funzionario cristiano, visse nel ghetto ebraico di Venezia, dove accumulò nella sua biblioteca libri di Voltaire (1694-1768), opere di Jean-Jacque Rousseau (1712-1778) e testi del poeta libertino, per non dire simpatizzante rivoluzionario ed ex senatore di Venezia, Giorgio Baffo (1694-1768), pezzi letterari che erano allora considerati “pericolosi”.
Due anni dopo lo “Scioglimento della Fratellanza,” cioè della sua appartenenza familiare, si convertì al cattolicesimo. Divenne in seguito nominato cavaliere e si fece chiamare Conte Giuseppe Giacomo Albrizzi. Grazie al suo considerevole patrimonio, si trovò nella condizione di comprare un piano del Palazzo Tron a San Beneto. Sebbene gli ebrei di Venezia possedessero da secoli di gran lunga più libertà, in particolare a livello economico, che in altri stati e principati europei e godessero quindi di una effettiva protezione garantita contro le vessazioni dell’Inquisizione di Venezia, tuttavia non fu mai possibile per loro acquistare immobili al di fuori del ghetto situato a Sestiere Cannaregio. Questo tuttavia cambiò con la soppressione del ghetto sotto Napoleone Bonaparte (1769-1821).
Con la conquista di Venezia da parte delle truppe napoleoniche, furono abrogate tutte le leggi di discriminazione contro gli ebrei, la porta del ghetto fu incendiata nel 1797 e l’obbligo di residenza, che costringeva la popolazione a vivere all’interno del ghetto, abolito. Tuttavia, gli ebrei riacquistarono tutti gli altri diritti solo con l’uguaglianza del 1848. I convertiti, come ad esempio Giuseppe Giacomo Albrizzi, già dal 1797.
Il nuovo padrone del Palazzo possedeva alcune opere del famoso scultore classicista Antonio Canova (1757-1822), che erano esposte in uno dei saloni del piano nobile sul Canal Grande. La sua collezione trovò molti ammiratori, tra cui anche ospiti illustri, come l’Imperatore Francesco Giuseppe II d’Austria (1768-1835) o Ludovico I di Baviera (1786-1868). Nel 1830, a causa di difficoltà finanziarie, fu costretto a vendere il pezzo più prezioso della collezione, l’Ebe di Canova – che tutti gli invidiavano – al Re di Prussia, Federico Guglielmo IV (1795-1861). Della statua di Ebe, che rappresentava la Dea della Giovinezza, all’epoca quasi un’istituzione storica grazie alla sua perfetta bellezza, il poeta tedesco Johann Gottfried Seume (1763-1810) scrisse nella sua più famosa opera Passeggiando per Siracusa nell’Anno 1802:
Ebbro me ne stavo in dolce turbamento
Come immerso in un oceano di godimento
In venerazione dinanzi a quella Dea
Che da lontano mi sorrideva,
E la mia anima era in visibilio:
Colà torreggiava più di Amathusia,
All’immortalità io mi abbandonai,
e coi miei sguardi infuocati assimilai
dallo sguardo suo l’ambrosia
e il nettare nella sala degli dei;
io non sapevo cosa mi era preso,
e c’era Zeus con il suo fulmine sospeso,
con presunzione mi aggrappai al guscio
con cui lei la deità esprimeva
e forse adesso barcollando oserei
affermare di Alcide l’irriverenza,
e battere il Dio per la sua ricompensa

Chiesa di San Beneto

ARCHITETTURA

Requisiti particolari e fascino bizantino

Contro la presunzione generale che i lavori edilizi di Venezia poggerebbero su gambe traballanti, le fondamenta del Palazzo Tron a San Beneto costituiscono un fatto di cui la popolazione del posto è consapevole: le fondamenta sono molto solide e quanto più antico è l’edificio, tanto più forti diventano le costruzioni con sostegni in acciaio o in legno di olmo, mattoni e solida pietra d’Istria nei fangosi depositi alluvionali.
Proveniente dalla regione croata di Istria, la pietra d’Istria viene in assoluto utilizzata come materiale edile a Venezia dal XIII secolo. Da una parte, la tipica facciata bianca, come si riconosce anche sul Palazzo Tron a San Beneto, conferisce il suo aspetto caratteristico. Da un’altra, si tratta qui di una roccia calcarea esternamente simile al marmo, che però è notevolmente più spessa, più porosa, più flessibile, più resistente all’acidità e decisamente più duratura, con un rapporto di compressione di 1350 chilogrammi per centimetro quadrato.
Tuttavia, il peso che affonda nel terreno della laguna ha come conseguenza che le costruzioni, nel corso del tempo, sono crollate, cosa ben visibile anche sul soffitto del primo piano del Palazzo Tron a San Beneto.
A titolo di confronto: mentre il soffitto dei piani superiori si trova rispettivamente a 2,90 m, quello al pianterreno si è abbassato a 2,10 m. Oggi principalmente usato come rimessa per le barche, il pianterreno in passato era destinato a locali commerciali e magazzini. Questo spazio era originariamente chiamati androne. La vita privata si svolgeva invece nei piani superiori. Inoltre, il pianterreno presenta solo una ripartizione limitata, condizione che era già presente nell’edificio originale, perché la ricorrente acqua alta, o aqua alta, limitava necessariamente le possibilità di utilizzo e troppe pareti avrebbero favorito il rischio di danni idrici permanenti.
In generale, il Palazzo Tron a San Beneto, che venne costruito nel XIII secolo e ristrutturato per la prima volta nel XV secolo da Nicolò Tron, è tipico dell’architettura del Gotico veneziano-bizantino. Il terzo piano venne aggiunto nel XVI secolo ed è strutturato secondo gli insegnamenti di Sebastiano Serlio (1475-1554), uno degli architetti più all’avanguardia e dei più importanti teorici di architettura del suo tempo, motivo per cui lo stesso è essenzialmente più semplice dei piani sottostanti. Ciò risulta dall’uso di una Serliana centrale, che rappresenta una variante dell’arco trionfale. Si tratta qui di un portale con archi a tutto sesto, che è affiancato da aperture ad angolo retto più piccole e strette. Con la sua triplice divisione ci ricorda anche un trittico, che a sua volta è circondato rispettivamente a destra e sinistra da due finestre con timpano a chiglia. I tetti piatti, nonché il tetto romanico appiattito, sostenuti da travi di legno camuffate, sono un elemento tipico veneziano. Si preferivano rispetto agli altrove amati soffitti a volta, perché questi resistevano meglio alle vibrazioni delle fondamenta oscillanti e in generale riducevano notevolmente il rischio di crepe nei soffitti e nelle pareti.
Questo edificio soggetto a salvaguardia tuttora seduce con il suo carattere, che è tipico dei palazzi di Venezia, e si distingue profondamente nella sua struttura edilizia dai palazzi di altre città italiane. Così ad esempio, la protezione o la creazione di mura protettive non è mai stato argomento dell’architettura veneziana, motivo per cui la proprietà ha anche un accesso diretto alle strade e al Canal Grande. Al contempo, la fontana, risalente al 1319, che sta nel cortile della proprietà, durante il Medioevo era accessibile al pubblico, quando il Palazzo non era ancora circondato da un muro. Oggi, la fontana presenta ingenti tracce di utilizzo, che fanno dedurre che una volta vi venivano trasportati centinaia di litri di acqua al giorno. Tuttavia, qui si parla di una fontana solo in apparenza. Piuttosto, in questo caso si tratta di una cisterna mascherata, che trasportava le acque sotterranee desalinizzate e quelle piovane del tetto e del cortile su canali di scolo fino ad un sistema di filtri a sabbia e infine alla cisterna vera e propria.
Oggi, la proprietà, dalla fine del XIX secolo appartenente alla famiglia Rocca, è circondata da un muro costruito dalla stessa ed è accessibile tramite una porta posteriore che dà sulla strada. Due emblemi di famiglia sul muro che dà sulla strada indicano ancora oggi il dominio delle famiglie Tron e Rocca sulla proprietà.
Il nucleo cittadino intorno a San Marco, già in passato fortemente popolato, incoraggiò i veneziani, come si nota ad esempio per il palazzo, a costruire in altezza, dato che i terreni edificabili erano rarissimi e si cercava di utilizzare al meglio lo spazio disponibile. La luce spesso poteva filtrare solo dalla facciata, motivo per cui di norma i palazzi presentano numerose finestre grandi, come palazzi in altri posti. Il portone d’ingresso, ovvero il portico, sul lato del canale permetteva di attraccare facilmente e con sicurezza barche e gondole in loco. Un’importante modifica che venne apportata nel XV secolo, fu la variazione delle proporzioni della sala centrale nel piano nobile. Questa sala, anche detta portego, si sviluppava su un lungo passaggio. Il nucleo del piano nobile è strutturato a forma di T al centro, con il portego che inizia dal lato cortile e sbocca sul lato canale in tre grandi saloni, che erano utilizzati per occasioni sociali e festive. Le finestre con timpano a chiglia del Palazzo segnano l’inizio di uno sviluppo stilistico dell’arcata gotico-veneziana che rappresenta la caratteristica più tipica in assoluto dell’architettura di Venezia. Le arcate, con forme che simulano la chiglia di una nave ribaltata, sulla cornice esterna presentano elementi che spuntano in fuori. Differenti correnti stilistiche si rispecchiano anche nella facciata dei vari piani costruiti in epoche diverse. Al pianterreno, la parte più antica dell’edificio, sono visibili soltanto i portali ad arco tondo dell’epoca classico-gotica, i pilastri portanti mancano completamente. In realtà, le arcate a chiglia non avevano uno scopo unicamente decorativo. Mentre in nord Europa gli infissi decorati erano riservati soltanto alle finestre delle chiese, le decorazioni degli infissi veneziani hanno un ulteriore scopo statico e supportano al contempo il peso delle mura esterne portanti. Quindi, il peso relativo, che i misuratori riportano, si riferisce alla relativa assenza di peso dell’intero edificio. Questo – e quindi il conseguente uso ridotto delle mura portanti – conferisce al Palazzo, realizzato in stile edilizio veneziano-gotico, leggerezza e grazia nella sua struttura. Il Gotico veneziano, come si ritrova qui, era, quanto a stile e rappresentazione, di gran lunga più complesso delle precedenti tipologie architettoniche popolari di Venezia, ma non concedeva mai peso superfluo o sproporzione. Fu più semplice continuare a costruire in altezza e risparmiare spazio, perché ogni centimetro di terra lungo i canali che attraversavano la città era prezioso.
In generale, l’influenza dell’architettura moresca su quella veneziana si rispecchia perfettamente nelle finestre dalla struttura ornamentale e sui bastioni puramente decorativi del profilo del tetto. Un’ulteriore influenza è quella bizantina e imperiale romana. Questo si riscontra bene nei pilastri colorati e dalle forme diverse sul muro esterno nel primo e secondo piano della facciata dell’edificio. In modo interessante, ogni pilastro si presenta diverso nella sua forma, ornamento e colore, il che fa capire che i commercianti e i marinai veneziani avevano riportato nella Repubblica alcuni pilastri dall’Oriente e dal Mediterraneo, che erano in precedenza necessari per la stabilità delle navi da carico quando queste non venivano più utilizzate. L’esempio più prominente di una facciata a pilastri si trova nel caso del versante occidentale della Basilica di San Marco a Piazza San Marco, costruita anch’essa nel XIII secolo.

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CONDIZIONE STRUTTURALE AL MOMENTO DELL’ACQUISIZIONE

Al momento dell’acquisizione da parte dell’EUROPEAN HERITAGE PROJECT nel 2018, la facciata del Palazzo necessitava di una ristrutturazione, e anche l’intero apparato elettrico e idrico richiedevano un ripristino. Priorità era tuttavia fin dall’inizio il restauro di diverse opere d’arte, come ad esempio i lavori in stucco su soffitti e pareti, il pavimento del terrazzo strutturalmente oneroso o gli sporadici soffitti a cassettoni dipinti. Un particolare problema lo ha rappresentato una frattura nel soffitto del piano nobile, poiché minacciava il crollo dell’intero soffitto, nonché sezioni fortemente danneggiate al pianterreno.

INTERVENTI DI RESTAURO E DO CONSERVAZIONE

Dall’acquisizione del Palazzo Tron a San Beneto nel 2018, l’EUROPEAN HERITAGE PROJECT sta restaurando il Palazzo veneziano con sforzi considerevoli. Al momento, il progetto si trova nella fase di implementazione. Durante i lavori, soprattutto la varietà stilistica, che dimostra le diverse fasi del Gotico veneziano, ha rappresentato a pari merito una sfida e un valore aggiunto. In particolare il metodo di costruzione sui piloni, nonché l’utilizzo di specifici materiali e tecniche locali e l’adattamento al clima della laguna, concedono all’EUROPEAN HERITAGE PROJECT una visione del tutto nuova nell’ambito della salvaguardia del patrimonio.

Statica

In generale, la statica, come anche la capriata e le costruzioni di travi nel Palazzo Tron sono sane, tuttavia c’è qualche difetto che deve essere riparato in questa prima fase di ristrutturazione. Particolari pareti in legno non portanti imbiancate a calce sono state scrostate, risistemate e nuovamente imbiancate, travi portanti nascoste in parte gravemente scoperte al pianterreno sono state staticamente ripristinate e per ora assicurate con supporti in acciaio come ulteriore sostegno.
Un’immagine particolarmente spiacevole l’ha presentata una frattura nel soffitto di un salone del Piano Nobile. Il detto soffitto è stato ora ricostruito del tutto, in quanto minacciava di crollare interamente. Al momento, il punto della frattura è sostenuto da supporti in acciaio per evitare danni maggiori. Secondo le attuali nozioni, la frattura ha causato un aumento della spesa, in quanto negli anni ’80 fu applicato a tratti al piano superiore ulteriore cemento; un peso enorme che per la struttura del soffitto dell’edificio monumentale non era concepito.

Tetto e Vano

La struttura del tetto del Palazzo, al momento dell’acquisizione da parte dell’EUROPEAN HERITAGE PROJECT, era in buono stato, tuttavia si è dovuto rinnovare quanto più possibile la copertura. A tale scopo, si è deciso di rimuovere in buona parte le tegole funzionanti, pulirle e riposarle, perché potesse essere ripristinato completamente lo stato originale.

Impianti elettrici, idrici e sanitari

In tutti gli appartamenti, gli impianti elettrici sanitari e idrici, adesso per la prima volta dagli anni ’70, sono stati completamente rinnovati, per rendere più sicura la permanenza nell’edificio e per rispettare i nuovi standard in materia di sostenibilità e di efficienza energetica.

Ricostruzione

Pavimenti

I pavimenti in pietra del terrazzo del XVIII secolo insistenti nell’intero spazio abitativo sono stati riportati allo stato originale, laddove gli elementi danneggiati sono stati riparati e quelli mancanti sostituiti del tutto. La maggior parte dei pesanti pavimenti in granito color antracite nelle stanze più piccole e nei corridoi è stato possibile restaurarli a basso costo, eliminando l’eventualità di ingrigimento. Una sfida particolare, tuttavia, è stata la pavimentazione originale nel grande salone del Piano Nobile, dove è presente una pavimentazione colata senza fughe. In questo caso, parti fortemente danneggiate e fratturate sono state necessariamente restaurate del tutto e con interventi costosi, dato che la ricostruzione era assolutamente impossibile. Per questo particolare ‘terrazzo alla veneziana’ con le sue costose incisioni in marmo, pietra calcarea e misto di Dolomia e calcestruzzo albuminizzato in colorazioni cangianti dalle sfumature beige, ocra e giada, era doveroso conservare a tutti i costi la sua bellezza originale.

Porte, finestre, passaggi all’acqua

Le vistose finestre e porte decorate con grate di ferro al pianterreno sono fortemente arrugginite a causa delle condizioni metereologiche. In parte, si è potuto eliminare la ruggine tramite levigatura, spazzolatura e pulizia ad alta pressione; tuttavia, i danni da corrosione sono in alcuni casi talmente avanzati, essendo la ghisa talmente fragile e porosa, che è stato necessario sostituire del tutto alcuni elementi. Per ricostruzioni indispensabili, si è richiesto l’intervento di un fabbro esperto, che lavora secondo metodi originali del XVIII secolo. Nei piani superiori, le finestre, nonché le gallerie sul cortile, sono state accuratamente restaurate nei dettagli. I telai in legno delle finestre, risalenti ad epoche diverse, le persiane, i vetri, come pure le barre di piombo, è stato possibile conservarli integralmente, ma sono stati installati doppi vetri per scopi di isolamento termico. Tutte le porte – come anche le porte a battente in legno di radica costantemente presenti nel Piano Nobile – sono state smontate, levigate e lucidate, dotate di nuove cerniere, riposizionate e calibrate.
In aggiunta, i pontili sul Canal Grande, ormai non più esistenti, che si erano corrosi negli ultimi decenni ed erano stati rimossi dall’ex proprietario a causa del forte sgretolamento, verranno ricostruiti nel corso degli interventi di restauro, per permettere un passaggio sicuro all’acqua e facilitare i trasporti del Palazzo.

Muratura & Facciata

Come uno dei primi interventi di restauro, la facciata del Palazzo, realizzata esclusivamente in pietra d’Istria bianca – una pietra calcarea particolarmente resistente – è stata liberata dalla sporcizia, lavata e ripristinata nei singoli elementi decorativi, ma anche portanti, come pilastri, arcate di finestre, balconi e ornamenti. Nel complesso, la muratura, come si ritrova in tutta Venezia, presenta salinità e mineralizzazione. Un vantaggio di questo è che il sale nell’aria provvede ad un clima ambientale asciutto e pertanto, in tutto il Palazzo si riscontrano solo pochi danni da umidità o da muffa. Tuttavia, la salinità comporta anche che alcuni mattoni senza intonaco devono essere sostituiti a intervalli regolari. In particolare al pianterreno, la corrosione dei mattoni da salinità è ben visibile. Mentre i mattoni color arancio, che sono stati impiegati negli ultimi uno o due decenni, sono in parte fortemente porosi, i mattoni color ocra fino all’oro, che sono stati installati all’epoca dell’Impero Romano e risalgono a oltre un migliaio di anni fa, hanno resistito alle intemperie.
Sono state poi effettuate demolizioni, anche al pianoterra per l’accesso al canale, perché lo spazio per magazzino e rimessa, originariamente enorme, è stato più tardi nel XX secolo suddiviso in particelle.

Restauri: arte e manodopera, affreschi e intonaco

I danni all’intonaco del soffitto, sui decori delle pareti interne e agli ornamenti crepati o anche inesistenti nel piano nobile, che sono databili alla fine del XIX secolo, sono stati ormai ripristinati e restaurati da un esperto restauratore veneziano. Per garantire la massima autenticità storica tramite gli interventi di restauro, sono state effettuate ricerche sui colori e le pigmentazioni. Le ricerche hanno rivelato che l’odierna colorazione si differenzia dalle sue sfumature dello stato originale. Difatti, alcuni ornamenti originariamente verde pallido, sono stati in seguito striati con un blu cristallino. Anche la tonalità verde dell’intera pittura muraria è diversa. Si è scoperto che, durante gli ultimi lavori di rinnovo, il grigio talpa è stato sbiadito in crema chiaro. Naturalmente, si è optato per la storica decorazione del XIX secolo. Allo stesso modo è stato eseguito il restauro delle pitture ornamentali sulle travi dei soffitti e i soffitti a cassettoni nel pianterreno e nella scalinata; che, a loro volta a causa della loro varietà cromatica, sono da classificare nel primo periodo del Gotico bizantino.

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HEUTIGE NUTZUNG UND KÜNFTIGE VORHABEN

Come intervento attivo alla salvaguardia di Venezia in quanto città prospera, è stato conservato l’uso del Palazzo Tron a San Beneto come abitazione per tre inquilini. Al contempo, si è ritenuto necessario valorizzare la sua origine come luogo di ispirazione e di condivisione sociale, in modo che il Palazzo possa essere utilizzato anche in futuro per mostre culturali, ad esempio, come spazi di esposizione durante i due anni in cui si tiene la mostra d’Arte Biennale.
Inoltre, l’EUROPEAN HERITAGE PROJECT si è posto l’obiettivo di sostenere sia finanziariamente che a livello organizzativo il rilancio e restauro della Chiesa di San Beneto, costruita nell’XI secolo. Come ex chiesa della famiglia Tron, l’edificio sacro non solo è nelle dirette vicinanze del palazzo, ma ne rappresenta al contempo il nome e il Patrono. Questo auspicato impegno vale come atto volontario e benefico che permette di riportare in vita il quartiere.

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