Il EUROPEAN HERITAGE PROJECT non intendeva solo preservare due fattorie senza vita o tracce del passato della regione, ma anche proteggere i valori e la tradizione culturali.
Nel 2000 e nel 2003, il EUROPEAN HERITAGE PROJECT è riuscito ad acquisire due isolate fattorie storiche risalenti al XVII secolo nel comune di Reith bei Kitzbühel, nella regione austriaca del Tirolo. Gli edifici, caratterizzati da uno stile unico a livello regionale, erano in grave stato di abbandono. Ubicate sugli altopiani delle Alpi orientali, in prossimità della montagna Wilder Kaiser, queste fattorie sulle colline costituiscono una rarità nel panorama austriaco per l’altitudine a cui sorgono, ben 1200 metri sul livello del mare, e costituiscono una testimonianza delle condizioni di vita estremamente povere e inospitali del passato dovute ai terreni sterili su cui si ergono, che sono adatti solo al pascolo del bestiame.
Le fattorie sono due delle pochissime strutture tradizionali d’alpeggio sopravvissute nella loro versione originaria e colpiscono per l’interazione tra le grandi strutture di pietra e legno. Le travi, in particolare, si sono conservate per tre secoli grazie al legname incredibilmente duraturo da sui sono state ricavate, ma anche le fondamenta sono straordinariamente solide e resistenti, costruite in profondità nella massiccia roccia alpina. Il EUROPEAN HERITAGE PROJECT ha compreso a prima vista che questa architettura robusta e unica a livello regionale meritava di essere conservata.
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Così, l’immediato entroterra di Kitzbühel è grandemente influenzato dalla mentalità unica del persistente e umile contadino di montagna e del suo irto pascolo. Questo è un importante aspetto storico-culturale che il EUROPEAN HERITAGE PROJECT ha consapevolmente voluto proteggere acquisendo queste cascine di rilevanza storica e ristrutturandole secondo le tecniche costruttive tradizionali.

SITUAZIONE ALL’ACQUISTO
Nel 1999, la casa in legno a destra era in uno stato oltremodo fatiscente. L’ex proprietario, fortemente indebitato e alcolizzato, aveva amministrato molto male l’edificio risalente al XVII secolo, tanto che i locali interni da un punto di vista igienico, nonché delle utenze, erano praticamente inabitabili, e oltretutto l’intera costruzione era in grave rischio di crollo. L’EUROPEAN HERITAGE PROJECT è riuscito ad acquistare finalmente l’edificio in estate, per poi restaurarlo in gran parte.
Come primo edificio soggetto a tutela acquisito dall’EUROPEAN HERITAGE PROJECT, questo ha segnato al contempo l’inizio di un impegno a lungo termine per la salvaguardia della cultura e l’architettura d’Europa.
Dopo aver concluso con successo gli interventi di restauro, l’EUROPEAN HERITAGE PROJECT ha potuto acquistare nel 2003 la stalla originariamente situata più in basso rispetto all’altopiano altoatesino. È stato poi nel 2010 che si è riuscito ad aggiungere alla tenuta l’attiguo edificio più vecchio sul lato sinistro che, sia storicamente che architettonicamente, era in diretto collegamento con la corte acquisita nel 1999, dopo che il suo proprietario residente a Münster la mise in vendita. L’ex proprietario aveva utilizzato la fattoria soltanto come casa vacanza, quindi nel complesso si trovava in buono stato, tuttavia c’erano alcuni abusi sulla facciata.
TENUTA: NUMERI E FATTI
Le fattorie isolate del XVII secolo rappresentano, come complesso d’insieme, una cosiddetta corte condominiale. Costituita da due grandi edifici indipendenti distanti 30 metri uno dall’altro, che sono separati da un piccolo ruscello e da una baita intermedia, nonché una stalla situata in posizione elevata adiacente, il complesso è ampiamente isolato, con solo un angusto sentiero che conduce nella valle. La fattoria si trova nella comunità tirolese di Reith, presso Kitzbühel, arco alpino orientale, ad un’altitudine di 1.200 metri. I due edifici principali hanno rispettivamente due e tre piani di altezza. Le superfici abitative e utili ripartite tra i quattro edifici ammontano in totale a 610 metri quadrati, laddove la proprietà situata su un alpeggio, con i suoi pascoli e i tratti di foresta adiacenti, si estende oltre 7,2 ettari.
STORIA CULTURALE
Una vita misera in un clima rigido
Principi regnanti, nobili, chiese e conventi determinarono la struttura governativa alla fine del Medioevo. Questi erano i possidenti e amministravano a quel tempo più di due terzi dell’intera proprietà fondiaria del Tirolo, che cedettero a fronte di un pagamento di interessi.
Procurarsi i beni di prima necessità è sempre stato l’incentivo del lavoro e della vita contadina. La fattoria era il centro e luogo economico, dove si realizzavano e preparavano i più disparati alimentari, abbigliamento, oggetti utili e molto altro. Nelle regioni territorialmente più spoglie, dove i contadini potevano piantare solo poco, se non niente, grano, si gestiva intensamente il commercio del latte. Quindi dal paesaggio, a seconda se era più o meno fertile, dipendeva il contesto economico del Tirolo alpino.
La vita però era particolarmente misera sulle fattorie d’alta montagna. Qui, vivevano i poveri più poveri. Nel complesso, le fattorie di montagna di diversi secoli fa, ormai solo raramente preservate, soprattutto a determinati metri di altitudine, sono una rara testimonianza della misera vita contadina tirolese. Queste raccontano – spesso tramandata solo come folklore orale – la storia del
contadino montanaro, che era alla mercé della natura e dell’aspro paesaggio montano e che tuttavia sfidava per sopravvivere con rispetto e una volontà di ferro.
Difatti, i contadini montanari di allora erano davvero autosufficienti, ma per quanto capaci fossero, le condizioni climatiche e il tempo avevano la meglio. Nelle cattive annate, quando i proventi erano più che scarsi e quindi le provviste non erano sufficienti per l’inverno, c’era sempre una minaccia di carestia. Per quanto ricchi fossero i nobili, affittavano le fattorie ai contadini. Quelli pretendevano la loro parte dei proventi, indipendentemente da quanto fossero buoni i raccolti; senza preoccuparsi del sostentamento degli abitanti della fattoria. Non appena il feudalesimo, nel 1782, venne abolito nel Tirolo sotto il re Giuseppe II (1741-1790), questo sfruttamento ebbe fine.
Anche l’abbigliamento dei contadini era piuttosto voluminoso, fino all’introduzione, verso la fine del XIX secolo, della lana lavorata a livello industriale, comoda e gradevole per la pelle. I contadini montanari indossavano per lo più stoffe di lino, persino in inverno si
portava lino grossolano, perché per lo più anche lana e pelle erano scarsamente accessibili per la popolazione contadina. Queste fibre di lino venivano coltivate in strette valli e in seguito tessute dalle contadine e trasformate in stoffe.
Condizioni igienicamente adeguate erano per lo più poco attuabili, in quanto o c’era il bagno o l’acqua corrente. Così, ci si lavava solo raramente sull’alpeggio, unicamente il viso o le mani venivano lavate regolarmente e anche la biancheria veniva lavata solo di rado. Dal XVIII secolo, si ovviò a tale necessità con gabinetti in legno, che però venivano svuotati nella stalla, tra gli animali, o di notte, gettati dal balcone. Questa igiene scorretta portava spesso infezioni, a volta anche con esito mortale, poiché nelle fattorie particolarmente isolate non veniva fornita assistenza medica. Per molti dei montanari, un trattamento medico non era neanche pensabile, a causa della loro precaria situazione finanziaria. Anche lo stoccaggio di viveri rappresentava spesso un grande problema dal punto di vista della salute della popolazione: dall’esaurimento di tutte le scorte, all’infestazione di muffa, al cibo avariato. Quanto alla fattoria di montagna in questione, il terreno era adatto solo per erbivori, i terreni vicini troppo aridi, per cui qui non si poteva gestire un’attività agricola. Inoltre, le piccole vallate indicano che persino la produzione di latte era molto limitata, per quanto, pare, rappresentasse l’unica fonte di sostentamento: là, le stalle avevano posto solo per due o quattro mucche. Quindi, le capanne estive possono essere escluse in questa postazione.
Anche i fenomeni di usura del corpo, derivanti dal duro lavoro, non risparmiavano gli abitanti delle fattorie. Tutte queste condizioni molto impervie avranno colpito gravemente l’organismo dei montanari.
È altrettanto noto che le strette stanze rustiche, in inverno, erano spesso surriscaldate e affollate, poiché qui venivano svolti i lavori per i quali nei mesi estivi c’era meno tempo, come, ad esempio, cucito, lavoro a maglia, aggiustare utensili o tessere il lino. Dato che non circolava aria, c’era sempre carenza di ossigeno. Si narra che, mentre tesseva, qualche tessitrice, per difficoltà respiratorie, sia
caduta dalla sedia priva di sensi. Il termine “spinnt” (tessere, ma anche dare i numeri), quindi, deve provenire dal fatto che chi cadeva dalla sedia a causa della mancanza di ossigeno era priva di sensi o stordita e di conseguenza letteralmente non più del tutto in sé.
La vita di famiglia dei contadini di montagna
Ovunque nell’Oberland tirolese, nel diritto di successione c’era la cosiddetta ripartizione reale. Ciò significa che la fattoria veniva suddivisa tra tutti i discendenti. Le fattorie a ripartizione reale erano spesso progettate più grandi perché più famiglie dovevano viverci insieme. I terreni venivano ripartiti, arrivando a ridursi col tempo da grandi campi a piccole strisce, che non riuscivano a produrre un raccolto sufficiente. Una trappola alla povertà, quella che dovrebbe essere stata anche in questo un’amara realtà.
C’erano invece insediamenti dispersi, perché qui il diritto di successione era regolamentato in modo diverso. L’erede maschio più grande e più abile ereditava tutto, le sorelle rimanevano per lo più come forza lavoro alla fattoria o andavano in convento. Dal punto di vista economico, il modello migliore. Nel caso della fattoria montana in oggetto, si ebbe comunque uno sviluppo simile all’esempio sopra citato: nel XVI secolo, tra i due fratelli deve essere scoppiata una disputa dopo la morte del loro padre. Pare quindi che nella controversia abbiano diviso una fattoria e la relativa proprietà terriera, che avevano congiuntamente ereditato in quanto fratelli. Dopodiché, secondo la storia, non si sono mai più scambiati una sola parola. Un piccolo ruscello, che corre tra le fattorie, funge ancora oggi da confine naturale.
Non andando più d’accordo e facendo, quindi, a meno di un’interazione quotidiana, la vita dei contadini montanari viene significativamente segnata. Quanto più povere erano le persone, tanto più il matrimonio valeva come mezzo di sostentamento,
laddove l’amore o le persone qui non giocavano nessun ruolo. Si doveva fare a meno l’uno dell’altro, anche se per tutta la vita.
Una convivenza infelice, dunque, spesso comportava una quotidianità difficile. E così, c’era solo una massima da seguire: “finché morte non ci separi”. Se, ad esempio, moriva la moglie del contadino, non di rado questi sposava la sorella della morta. Il matrimonio, a questo livello sociale, rappresentava quindi più che altro una unione per necessità economica, come ad esempio nell’artigianato, in quanto qui era principalmente una questione di sopravvivenza. Soprattutto per le contadine montane questo doveva essere difficile, dato che le stesse non possedevano alcun diritto di parola. Legalmente l’uomo era tutore della donna, che si trattasse di suo padre, fratello o marito. Le donne erano prevalentemente addette alla crescita dei numerosissimi figli e alle pulizie di casa. La donna alla fattoria non aveva alcuna possibilità di realizzarsi. Un sposa era di fatto una convenienza. Solo in caso di gravi lacune del marito, che danneggiavano fortemente la situazione economica della fattoria e la vita familiare, come ad esempio, alcolismo o pazzia, la donna aveva un diritto di ricorso e, in casi estremi, poteva assumersi l’amministrazione dei beni.
Le buone maniere erano necessarie per regolare la convivenza nelle grandi famiglie di contadini. Di norma, tre generazioni di una famiglia vivevano in una sola fattoria familiare. Così, la grande famiglia tirolese abitava costantemente sotto lo stesso tetto per vivere e lavorare lì insieme. Questa vicinanza spaziale e la stretta convivenza dalla nascita alla morte, creavano forti legami e grandi rapporti emotivi tra i membri della famiglia.
Un destino per lo più tragico spesso toccava alla gioventù di questa povera zona del Tirolo. La sempre più presente indigenza e la carestia non solo occasionale hanno messo i contadini montani in ginocchio per diverse generazioni, in quanto questi a volte non potevano sfamare tutti i figli alla fattoria. Particolarmente difficile era per la famiglia contadina delle fattorie isolate sulle montagne alpine. I loro figli, più o meno all’età tra i 6 e i 14 anni venivano mandati ai mercati di bambini, per guardare il bestiame svevo o per aiutare con il raccolto. Non c’era neanche il compenso, solo vitto e alloggio gratis. Come cosiddetti “bambini di Svevia”, non solo soffrivano di nostalgia per la lontananza da casa, ma non avevano neanche un’adeguata istruzione scolastica ed erano esposti al dispotismo di estranei e ai maltrattamenti.
INFORMAZIONE INTERESSANTI E CURIOSTÀ
I bambini di Svevia – dalla povertà al lavoro minorile
Con Bambini di Svevia o Bambini Guardiani, venivano indicati i figli dei contadini montani di Tirolo, Vorarlberg e Svizzera o anche il Liechtenstein, che, dagli inizi dell’era moderna fino ai primi del XX secolo, a causa della povertà delle loro famiglie, venivano portati ogni anno in primavera, dalle Alpi fino al cosiddetto “mercato dei bambini”, per essere inseriti come lavoratori contadini stagionali nelle caratteristiche regioni rurali di Württemberg e Baden. Il “viaggio in Svevia, che si trova menzionato già nel XVI e XVII secolo, visse il suo culmine nel XIX secolo. Si è stimato che, all’epoca, ogni anno, da cinque a seimila bambini delle fattorie lavoravano in un paese straniero come giovani guardiani, domestici o servi. Sfondo erano i proventi terrieri oltremodo scarsi, nelle regioni alpine e quindi la conseguente povertà, per cui i genitori erano costretti a mandare uno o più dei loro numerosi figli in terra straniera. Le strade di Tirolo, Vorarlberg e Svizzera verso l’Alta Svevia erano spesso lunghe ed impervie. Per una parte dei bambini, si trattava di oltrepassare passi montani, come l’Arlberg, che di regola, a marzo erano ancora ricoperti di neve e che molti bambini dovevano superare con calzature inadeguate e abbigliamento misero. Di solito era un sorvegliante, a volte un prete, il loro accompagnatore, che si preoccupava che i bambini pernottassero in stalle calde e che trattava i prezzi al mercato. Con la costruzione della stazione di
Arlberg, nel 1884, il viaggio per i bambini tirolesi divenne più facile. Il mercato dei bambini in alta Svevia avveniva solitamente a marzo. Tra la fine di ottobre e metà novembre, facevano ritorno a casa. nello zaino, c’era una doppia serie di vestiti e – a seconda dell’età dei bambini lavoratori e del prezzo trattato – qualche fiorino.
Nel 1891, venne fondata l’associazione dei bambini guardiani di Tirolo e Vorarlberg, a Pettneu am Arlberg, dal Prete Reverendo Schöpf e il capo municipale Josef Anton Geiger, per proteggere i bambini dallo sfruttamento. L’associazione durò fino al 1915. I bambini guardiani arrivavano con la nave dal porto di Bregenz a Friedrichshafen. Dal 1891, il mercato centrale per i bambini guardiani era situato sulla Karlstraße a Friedrichshafen. I bambini non assegnati partivano con il treno per Ravensburg, per trovare lavoro lì. Sulla stampa degli Stati Uniti, nel 1908, fu avviata un’intensa campagna contro il lavoro minorile, dove, tra il resto, il mercato di minori di Friedrichshafen fu paragonato ad un mercato di schiavi. Lo sdegno morale sollevò attività diplomatiche fino alla cancelleria del Reich a Berlino, ma per i bambini stessi non cambiò niente. I mercati di bambini furono aboliti nel 1915, perché allora i bambini erano necessari a casa, per sostituire, come forza lavoro, i soldati chiamati alla prima guerra mondiale,. Il “viaggio in Svevia”, tuttavia, riprese rapidamente nel 1921, dopo che nel Württemberg venne introdotto l’obbligo scolastico per i bambini stranieri. Il romanzo, pubblicato nel 1989, dello scrittore austriaco Othmar Franz Lang (1921-2005), “Hungerweg. Von Tirol zum Kindermarkt in Ravensburg” (“La via della fame. Dal Tirolo al mercato dei bambini di Ravensburg”), illustra la storia dei bambini di Svevia come esempio per i giovani lettori.
Nel 2012, nell’ambito di un progetto europeo transfrontaliero, è stata avviata una raccolta dei percorsi, i singoli destini e le condizioni di vita dei bambini di Svevia.
ARCHITETTURA
Fondamentalmente, le fattorie separate sono formate da spazi per abitazione, per allevamento bestiame, per scorte di viveri, per il deposito di attrezzature. Tipico dell’Oberland tirolese, qui si tratta, almeno visivamente, di una fattoria doppia con un piccolo edificio adiacente e una stalla situata ai margini.
Quanto alla cascina, ora riunita, si tratta di una cosiddetta fattoria isolata (Einödhof), dato che qui ci sono solo due edifici isolati indipendenti e differenti. Il termine “Einöde“ (isolato) proviene dall’antico alto tedesco einōti, che sta a significare ‘stare da solo’. Nell’alto tedesco, rappresentava il tipo di insediamento più piccolo e venne definito per la prima volta nelle Cronache di Asburgo nel XV secolo, nonché nell’ordine dello stato tirolese del 1573, come ‘ainöden’.
Mentre il pericolo di incendi nel densamente edificato territorio del Tirolo era grande e, a causa di questo, si facevano costruire soprattutto case in pietra, tale pericolo della propagazione d’incendi era scarso, per cui si poté ricorrere prevalentemente al legno come materiale edilizio.
Entrambi gli edifici sono dotati di un corridoio centrale che li attraversa e divide i locali. Gli edifici principali piuttosto grandi, consistono di un pianterreno in parte murato, intonacato con la calce nella massiccia parete e un primo piano completo, oltre ad una capriata simile alle costruzioni a blocchi.
La costruzione a blocchi è da sempre uno dei metodi edilizi originali della cerchia culturale occidentale. In effetti, ci sono ormai molti documenti, secondo cui la tecnica della costruzione a blocchi è, già in epoca preistorica, un metodo di costruzione soprattutto nell’Europa centrale. Questa entrò in uso dal Neolitico, il II millennio avanti Cristo.
Nella costruzione delle case, il metodo edilizio dovrebbe essere stato utilizzato costantemente fino ad oggi, anche se le più antiche case a blocchi ancora esistenti risalgono per la prima volta al Medioevo. Pertanto, entrambe le fattorie di montagna rappresentano un’eredità culturale di tutta Europa, che se non altro supera architettonicamente un’importanza puramente regionale.
Le pareti in blocchi di legno, che poggiano rispettivamente su una base in pietra e un telaio parziale in legno duro, nascono da strati di legno impilati uno sull’altro. I pezzi di legno venivano a tratti lavorati come tronchi, legno lamellare o travi segate. Nel caso dei tronchi, viene alternativamente posata l’estremità più sottile su quella più spessa, per utilizzare tutto il legno. Le pareti strutturate in questo modo si incastrano agli angoli tramite connessioni a pettine e giunzioni dei singoli pezzi di legno. I tronchi sono compattamente uniti uno all’altro. Le pareti interne sono al contempo connesse con le pareti esterne e da fuori appaiono come file perpendicolari di travi incastrate con zincatura (a coda di rondine).
Questa forma mista nell’utilizzo di materiali e metodi di costruzione è archetipica per la regione. Le facciate, inclusi i massicci balconi e gli elementi portanti, dalle fondamenta fino alle costruzioni del tetto, sono fatti con legno di larice, con uno spesso strato di olio di lino. Gli spazi interni, dalle assi di legno al rivestimento delle pareti fino a porte e soffitti, sono realizzati in pino cembro regionale. I tetti sono ricoperti con le tradizionali scandole di legno. Inoltre, saltano particolarmente agli occhi gli ornamenti semplici intagliati su cornicioni e balconi, nonché le persiane in legno striato verde alle finestre.
Una delle due abitazioni è dotata di un affumicatoio e funge da zona cucina e soggiorno centrale. Quanto all’originale stufa a poltrona del XVII secolo, qui situata, si tratta di un forno a due vani parzialmente isolato con mattonelle in ceramica. In altezza da lavoro, è un forno per cucinare che dispone di una cosiddetta navicella per riscaldare l’acqua. Inoltre, serve anche da stufa per scaldare la stanza e contiene un forno incassato. La stufa a poltrona, nel suo diverso utilizzo, supera di gran lunga i classici camini base e con la sua efficienza, rappresenta una rarità.
CONDIZIONE STRUTTURALE AL MOMENTO DELL’ACQUISIZIONE
Lo stato della fattoria situata a destra, al momento dell’acquisizione, era disastroso. L’intero immobile era da una parte infestato dal sudiciume, dall’altra cosparso dappertutto di bottiglie vuote e immondizia. Il tetto in ottone, posato postumo, era completamente arrugginito e rappresentava, in particolare a causa della sua scorretta capacità di carico, che è necessaria per sopportare la quantità di neve che cade copiosa in questa zona montana durante l’inverno, un rischio di crollo per l’intero edificio. Contemporaneamente, i balconi in legno erano marci per mancanza di manutenzione e non più praticabili. Ancora, in molti elementi della costruzione si notava un’acuta infestazione di tarli, che metteva ulteriormente a rischio l’intera sostanza strutturale, in particolare, la capriata ne era fortemente colpita. In più, tutti gli impianti elettrici erano danneggiati e addirittura c’erano numerosi cavi scoperti sparsi in tutti i locali abitativi. La fornitura elettrica e l’intervento provvisorio realizzato in questo contesto con scarsa professionalità, rappresentavano un potenziale rischio d’incendio, a causa dell’inadeguato isolamento e dei cavi esposti.
La seconda fattoria, soggetta a tutela, successivamente acquistata nel 2010 dall’EUROPEAN HERITAGE PROJECT, e risalente ai primi del XVII secolo, non presentava fortunatamente né danni da umidità né infestazioni – sebbene le indagini dendrocronologiche fossero più vecchie di almeno tre secoli rispetto alla fattoria vicina. Tuttavia, la condizione della statica era preoccupante. Ad esempio, la facciata era fortemente inclinata in avanti, cosa che risultava in un’obliquità dell’intero immobile, ed era visibile anche nei soffitti, pavimenti e pareti. Inoltre, la facciata presentava forti tracce di abuso edilizio, da pitture colorate a pietre incollate alle pareti.
INTERVENTI DI RESTAURO E DO CONSERVAZIONE
Nell’ambito dei lavori di restauro, sono state innanzitutto effettuate indagini dendrocronologiche di tutte e quattro le costruzioni in legno, per poter determinare l’età, ma anche l’utilizzo professionale dei legnami.
Nel primo edificio acquistato, l’EUROPEAN HERITAGE PROJECT ha dovuto innanzitutto far condurre un accurato sgombero, una pulizia degli spazi e un drenaggio, per poter quindi passare alle misure di disinfestazione. Su tutto l’edificio, sono stati restaurati gli elementi in legno danneggiati o spaccati: a questi lavori appartengono in particolare la levigatura e la sigillatura con olio di lino naturale negli spazi esterni e con cera d’api all’interno. I legni infestati da tarli o danneggiati dall’umidità sono stati sostituiti tramite ricostruzione.
Per tutti i lavori, è stato contattato un rinomato falegname locale, particolarmente esperto di tecniche e materiali tradizionali e d’epoca. Dopo che la capriata è stata restaurata e stabilizzata, il tetto in ottone arrugginito è stato sostituito da accurata ricostruzione con scandole in legno.
Nell’intero immobile, gli impianti elettrici sono stati posati dal nuovo, per poter garantire una sicura fornitura di elettricità. In ultimo, è stato possibile restaurare la stufa a poltrona ben conservata dopo quattrocento anni, riparando anche le scheggiature sulle singole mattonelle in ceramica del rivestimento.
Sulla facciata, i muri in pietra sono stati in parte risistemati e rinfrescati con intonaco di calce. In più, le persiane e i telai delle finestre sono stati ridipinti e in parte raddrizzati e calibrati, e i vetri delle finestre hanno potuto essere mantenuti al loro stato originale.
Quanto a tutti gli altri edifici – stalla, baita e la seconda fattoria – i massicci elementi in legno colpiti da danni irreparabili, sono stati sostituiti da ricostruzioni. Le restanti riparazioni obbligatorie e il trattamento del legno sono stati eseguiti come sopra indicato. Anche i tetti in ottone sono stati qui rimossi e riportati al loro stato originale con scandole in legno.
La massima sfida per la fattoria di sinistra, acquistata nel 2010, è stata quella di ripristinare la massiccia posizione pendente dei pavimenti e l’estrema inclinazione della facciata anteriore. Si è riuscito a far questo, grazie ad una scrupolosa messa in sicurezza di tutte le pareti portanti e della capriata, tramite un completo scavo e raddrizzamento delle fondamenta. La formazione di crepe nella muratura e nelle costruzioni di legno sono state al contempo rimosse; in più, è stata eseguita la sverniciatura delicata della colorazione del legno applicata dagli ex proprietari sulla facciata, nonché una rimozione delle pietre precedentemente attaccate e il riempimento dei buchi da questo risultanti.
In precedenza, erano previsti tralicci ed elettrodotti direttamente nella proprietà. Dopo aver parlato con la compagnia elettrica locale, tuttavia, è stato possibile sistemare gli impianti elettrici sottoterra, cosa che contribuisce a conferire al posto un aspetto armonioso e a ripristinare inoltre una condizione originale d’epoca e quindi un insieme simbiotico tra l’alpeggio e le fattorie.
Durante questi lavori, è stata oltretutto scoperta una sorgente, che ora può essere usata per la parziale fornitura idrica del complesso di fattorie. Per una migliore condizione igienica generale ed un corretto trasporto delle acque reflue, sono stati creati pozzi neri completamente nuovi in tutti gli edifici.
UTILIZZIO ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE
Grazie agli interventi di restauro conclusi con successo, l’EUROPEAN HERITAGE PROJECT ha permesso che entrambe le fattorie di montagna si ritrovassero nuovamente inserite con armonia nel paesaggio che circonda Asten. Inoltre, gli edifici in legno del complesso, che rappresenta, sia architettonicamente che culturalmente, una rara eredità e testimonianza della vita montana tirolese, hanno ritrovato la loro funzione originale di abitazioni dell’arco alpino. Il complesso, inoltre, è raggiungibile solo a piedi, attraverso un sentiero.
