La proprietà è rimasta vuota per anni e minacciava di crollare, un destino che condivide con molte altre limonaie.
A nordest di Limone sul Garda, situata direttamente sul lago, si trova una delle più antiche limonaie dell’alto lago, San Sebastiano. La struttura risale al XIII secolo e rappresenta una particolarità agricola, che in questa forma può essere riscontrata soltanto sul lago di Garda. Pur estendendosi il lago di Garda settentrionale sino alle pendici delle Alpi, tuttavia in questo territorio vengono coltivati da secoli i limoni. Il motivo per cui è possibile rinvenirne la coltura anche qui, è stata tradizionalmente attribuito all’intraprendenza dei monaci del vicino convento francescano di Gargnano. Questi, secondo la vulgata, portarono il frutto meridionale da Genova sul lago di Garda per la prima volta nel XIII secolo.
A Limone, che gode dell’aria mite lago, gli agrumi trovarono un particolare microclima che ne ha reso possibile una ricca produzione durante tutto l’anno. Le pareti montuose e le muraglie dei giardini, strutture assai elaborate, grazie alla forte esposizione a sud est, accumulano l’energia solare diurna e la restituiscono rinfrescata durante la notte.
L’uso storico come limonaia è stato abbandonato a San Sebastiano già da secoli. La proprietà ora acquisita dal THE EUROPEAN HERITAGE PROJECT è rimasta vuota per anni e minacciava di crollare, un destino che condivide con molte altre limonaie.
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All’inizio del XX secolo, nuove opzioni di trasporto hanno reso l’importazione di limoni più vantaggiosa, mentre aromi ed essenze di limone hanno iniziato ad essere prodotti sempre più spesso artificialmente. Dunque i giardini di agrumi, caratteristici di questo territorio, sono andati perdendo sempre più importanza, e quasi tutte le limonaie sono scomparse.
Scopo del THE EUROPEAN HERITAGE PROJECT è quello di recuperare l’intero complesso come unità di produzione agricola. In particolare, qui è stata ricostruita nella sua struttura tradizionale, in modo esemplare, una limonaia che ha segnato notevolmente il carattere di un’intera regione. Si è quindi cercato di riportare in vita una struttura agricola unica nel suo genere e di inserirla nei giorni nostri.
Nei successivi singoli progetti, lo THE EUROPEAN HERITAGE PROJECT vuole ripristinare le superfici esistenti e riattivare l’azienda agricola di produzione dei limoni.
Per potenziare le superfici della struttura e la rendita, è stato programmato inoltre l’acquisto di ulteriori superfici agricole. È stata già concretamente pianificata la successiva produzione del tradizionale Limoncello, con i frutti della raccolta nella limonaia.
Innanzitutto, ci sono comunque in primo piano improrogabili interventi di manutenzione, che impediscano l’avanzamento del degrado e la perdita delle strutture storiche, prima ancora che venga redatta una relazione, che ricomprenda anche una valutazione storica del sito.
Situazione all’acquisto
Il terreno su cui sorgono gli edifici e il maestoso giardino si articola su terrazzamenti che dal Lago di Garda si alternano verso il monte, presentando un’esposizione verso sud. Al momento dell’acquisto, la maggior parte del terreno disponibile era coltivato con ulivi, mentre la zona centrale era ancora adibita a limonaia. Gli edifici presenti erano tre: il cosiddetto “casello”, ossia il deposito dei materiali di copertura per le serre, risalente al ’700; la casa del custode, edificata nel corso del XIX secolo appena sotto la limonaia; l’abitazione principale costruita negli anni ’30 del secolo scorso, al di sopra dei tre originari terrazzamenti del giardino di agrumi. Il complesso è munito di un piccolo porticciolo che si proietta verso il lago dinnanzi alla casa del custode, che chiude la limonaia verso ovest.
Proprietà: numeri e fatti
Lo European Heritage Project ha acquisito nel 2020 l’antica limonaia situata presso la località “Corno”, a nord del comune di Limone sul Garda. La struttura è risultata immediatamente di grande interesse per le sue peculiarità e per la sua storia, oltre ad essere un esempio ancor ben conservato della cultura locale e del passato del luogo, legato nei secoli dell’Età moderna alla produzione ed esportazione di limoni ed altri agrumi.
La limonaia, sito di produzione dei limoni, coltivati ad una latitudine così elevata solo grazie all’impiego di grandi serre, sale imperiosa dalle acque del Lago di Garda e si inerpica, con un complesso sistema di terrazzamenti, verso la montagna, conferendo al sito un andamento altimetrico assai ripido, che sale svelto dal lago sino alla vicina strada “Gardesana”. È questa la principale via di comunicazione del Lago di Garda, percorrendone per la sua interezza il periplo, per un totale di 140 chilometri, unendo fra loro i comuni rivieraschi. Proprio il tratto che passa da Limone sul Garda, partendo dalla più meridionale Gargnano, e che sale poi verso Riva del Garda, comune della provincia di Trento che si affaccia sull’estremo nord del Lago di Garda, è stato più volte celebrato per l’arditezza del tracciato e le soluzioni ingegneristiche innovative per l’epoca della costruzione, avvenuta tra il 1929 e il 1931. Non solo strada panoramica, ma anche capolavoro dell’ingegneria e simbolo della tenacia della popolazione locale, il percorso viario che da Limone giunge a Riva è stato anche omaggiato nel 2008 da Hollywood che, con il film della serie 007 “Quantum of Solace”, ha immortalato e reso nota al mondo questa spettacolare strada. La limonaia del Corno si colloca appena sotto l’importante arteria ed è ben inserita nel reticolo delle infrastrutture locali, essendo anche collegata al centro del comune di Limone tramite una strada secondaria, che scende tagliando di traverso la montagna verso sud-ovest. Percorrendo questa via, che si contende il poco spazio tra le rocce e l’acqua con le rigogliose aloe e gli alti cipressi, che costituiscono le specie arboree spontanee della riviera bresciana del lago di Garda, si giunge velocemente presso il piccolo borgo di pescatori di Limone. Lungo il tragitto si incontrano altre limonaie, alcune di queste recentemente recuperate, chiara testimonianza del passato di questi luoghi.
L’antica limonaia del Corno è inoltre situata poco sotto l’avvio della moderna via ciclopedonale di Limone sul Garda. Questa è stata inaugurata nel 2018 e costituisce la prima tratta della ciclovia del Garda, un percorso a picco sul lago, che una volta concluso collegherà con una lunga e unica pista ciclabile ben 19 località del Garda, dando vita alla pista ciclabile più lunga d’Europa.
Il percorso, che resta sospeso sulle acque per circa due chilometri e mezzo, si snoda proprio partendo pochi metri più su dall’ingresso della limonaia. Questa passerella appesa alla montagna, a picco sulle acque del lago, realizzata con pannelli in calcestruzzo rivestiti da una finitura a doghe, non è solo molto suggestiva per il panorama che da qui si gode, ma è pure un bellissimo esempio di ingegneria.
Storia
Il comune di Limone sul Garda
Il piccolo borgo di Limone sul Garda, situato a sud-ovest della limonaia del Corno, fu per secoli un piccolo centro di pescatori, posto all’estremo settentrionale dei territori del Lago di Garda sottoposti alla giurisdizione della Riviera di Salò, partizione interna della Repubblica Serenissima di Venezia. Proprio il toponimo “Limone” deriverebbe forse dal latino «limes», ossia “confine”, per via dell’ubicazione del paese, posto ai confini con il principato vescovile di Trento. Un’altra ipotesi, peraltro ritenuta più plausibile, farebbe derivare il nome del comune dal celtico «limo» oppure «lemos», che significa “olmo”, pianta sacra al popolo dei Galli Cenomani che, per primi, attorno al 600 a.C., si insediarono in questi luoghi. La vita del borgo procedette tranquilla e concentrata sulla sussistenza dalle sue oscure origini sino al XVII secolo, quando si diffuse anche in quest’area la coltura degli agrumi, già nota e praticata da secoli nei centri più meridionali della Riviera di Salò. Fu dunque nel periodo veneziano che il piccolo centro di pescatori conobbe una prima fase di espansione economica, che perdurò anche dopo la caduta della Repubblica di Venezia e l’avvento dell’Impero Asburgico. Quest’ultimo anzi diede nuovo impulso alla vita economica del paese, trasformandolo in un’ambita meta di soggiorni climatici, facendo anche tesoro della “pubblicità” che a questi luoghi aveva fatto il più celebre di tutti i viaggiatori europei che intrapresero, a partire dal ’700, il cosiddetto Gran Tour: Goethe. Pur rimanendo collegato al resto del mondo solo via barca, o attraverso impervi sentieri di montagna, nel corso dell’Ottocento il paese si giovò anche di altre attività produttive, oltre all’agrumicoltura: vi venivano infatti prodotte la magnesia e la carta, nonché estratta la calce e allevati con successo i bachi da seta. Nel 1831 nacque a Limone Daniele Comboni, destinato a fondare l’opera dei missionari Comboniani, che lo avrebbe portato in Africa per molti anni, dove morì predicando il Vangelo. Comboni, per le sue opere missionarie, è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II nel 2003, conferendo notevole lustro al piccolo centro gardesano.
Nel 1859, l’arretramento del confine imperiale, a seguito della Seconda Guerra di Indipendenza, portò il comune nel nascente Regno d’Italia, ma la vicinanza del nuovo confine sarà fatale per Limone che, durante la Prima Guerra Mondiale, sarà completamente evacuato e ridotto ad un paese spettrale e disabitato, percorso solo dai soldati che, scendendo dal fronte di guerra sulle montagne sovrastanti, vi venivano alla ricerca di cibo e di un alloggio. Gli anni tra il 1915 e il 1918 determinarono quindi la perdita della maggior parte delle attività produttive presenti, specialmente dell’agrumicoltura. I materiali di copertura della serre vennero infatti requisiti per la costruzione di baracche e trincee, mentre alcuni freddi inverni si susseguirono facendo morire le piante, che rimasero per anni senza le necessarie cure, seccandosi in gran numero e sancendo la fine di una secolare industria.
Alla povertà del paese nel primo dopoguerra contribuì anche il perdurante isolamento finché finalmente, nel 1926, si poté progettare una nuova strada che collegasse il borgo ai centri vicini. L’ideazione di questo capolavoro dell’ingegneria si deve all’ingegnere bresciano Riccardo Cozzaglio e fu fortemente voluta da Gabriele d’Annunzio, che a partire dal 1921 si era stabilito a Gardone Riviera, alcuni chilometri più a sud di Limone. L’opera, che doveva congiungere i paesi tra Gargnano e Riva del Garda, appoggiata da Benito Mussolini, fu finanziata per il 60% dal Regno d’Italia. I lavori presero avvio nel 1929 e si protrassero sino al 1931. L’alternarsi di gallerie e curve a picco sul lago e lo scendere ripido della roccia viva sul lato della strada, le hanno meritato il nome di “Meandro”, conferitole dal poeta D’Annunzio, che se ne innamorò immediatamente.
Finalmente sottratto all’isolamento, il paese di Limone poté tornare a prosperare. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale sospesero momentaneamente, ma non interruppero, la trasformazione del centro, da piccolo borgo di pescatori e luogo di produzione dei limoni, in una delle più ambite mete di soggiorno del Lago di Garda.
I crescenti flussi turistici nel secondo Novecento hanno però profondamente alterato l’aspetto originario del luogo, irrimediabilmente compromesso dall’edificazione di alberghi, mentre i tradizionali giardini di limoni sono rimasti perlopiù in stato di abbandono, o trasformati anch’essi in strutture ricettive. Solo a partire dagli anni ’80, si è iniziato a pensare alle antiche limonaie come ad un patrimonio da salvaguardare. Purtroppo, solo pochissime sono state recuperate e riportate allo stato originale, rendendo nuovamente possibile la produzione di agrumi. Per questo motivo, l’antica limonaia del Corno è entrata a far parte delle strutture dello European Heritage Project, perché potesse tornare ad essere un luogo di produzione, preservandone dunque la storia e ritrovando nel passato di questo luogo lo scopo primario per il suo futuro.
Le limonaie: dal XIII al XVI secolo
Kennst du das Land, wo die Citronen blühn?
Conosci tu il Paese dove fioriscono i limoni?
Con questi celeberrimi versi del 1795, Johann Wolfang von Goethe intendeva probabilmente celebrare la florida coltivazione di agrumi sul Lago di Garda, memore del ben noto viaggio che lo portò in Italia tra il 1786 e il 1787. Così scriveva sul suo diario, la sera del 13 settembre 1786:
Il mattino era stupendo, il cielo per dire il vero alquanto coperto, ma l’atmosfera tranquilla. Passammo [in barca] davanti a Limone, dove i giardini disposti in vari piani, e piantati di agrumi, porgono bella e ricca vista. Tutti i giardini sono formati da ordini di pilastri bianchi, quadrangolari, i quali ad una certa distanza gli uni dagli altri si appoggiano al monte, e contemporaneamente lo sostengono, a foggia di altrettanti gradini. Sopra questi pilastri sono appoggiati legni, destinati a sostenere nell’inverno i tetti mobili coi quali si proteggono le piante dal freddo; e dalla neve […].
La testimonianza del Viaggiatore tedesco, sebbene sia da annoverare tra le più note, non è però certamente la prima a riguardare i giardini di agrumi che dal paese di Limone si estendevano verso sud, sino a Maderno. Proprio da Maderno conviene far cominciare il viaggio nella storia della coltivazione di limoni, aranci e cedri sul Garda.
La tradizione locale riconosce all’arrivo dei frati francescani un ruolo fondamentale nella prima messa a dimora degli agrumi sulle rive nord occidentali del Lago; la fondazione di un primo convento si fa risalire al 1266, quando una comunità di frati si stabilì nel paese di Gargnano, allora il più popoloso dei centri della Riviera bresciana. Questa posizione privilegiata dei frati nella tradizionale narrazione è dovuta alla presenza, nei capitelli del chiostro del convento di S. Francesco, che si fa risalire alla prima metà del XIV secolo, di decorazioni riportanti agrumi e foglie di limoni e aranci, nonché altri motivi antropomorfi e zoomorfi. I più antichi fra i capitelli presenti sulle colonne vanno fatti risalire alla coeva edificazione della chiesa, cominciata qualche anno prima di quella del chiostro, attorno al 1289, e conclusasi nella prima metà del Trecento, mentre altri capitelli furono aggiunti nel XV secolo. Sebbene in molti abbiano attribuito alla presenza delle decorazioni a motivi vegetali una sorta di autocelebrazione della comunità francescana, e quindi del suo ruolo pioneristico nell’agrumicoltura nell’Alto Garda, è più probabile che i rilievi sui capitelli del chiostro siano piuttosto testimonianza della presenza di piante di agrumi, già consolidata e diffusa nel territorio all’epoca dell’arrivo dei francescani a Gargnano. In effetti, è di solo pochi anni successivi allo stabilirsi dei frati a Gargnano, una testimonianza di assoluto interesse che riguarda la proprietà fondiaria del vescovo di Brescia a Maderno. Un documento del 1279, appartenente al fondo della «Mensa Vescovile», fondo documentario che descrive con precisione il patrimonio della curia vescovile, fa menzione nel «pievato di Maderno» di una «via per quam iterum ad cedrarium», «una strada per la quale si va all’agrumeto», confinante con un orto nel fondo del vescovo, nonché con «una domo cum curia secum tenente», «una casa con relativo fondo agricolo», delimitata «a meridie via cedrarii», «a sud dalla strada dell’agrumeto». Notiamo dunque come già nel 1279 sia attestata la coltura di agrumi nel territorio di Maderno nella proprietà del vescovo, ponendo dunque in secondo piano il ruolo dei frati di Gargnano, almeno per ciò che concerne una prima diffusione della coltura di «cedri», ossia di agrumi, sul Lago, le cui vicende, dopo le considerazioni appena proposte, non possono che divenire ancora più sfuggenti e misteriose.
La diffusione di aranci, cedri e limoni sul Garda si deve dunque forse ricondurre all’opera delle Repubbliche Marinare di Genova e Venezia che, proiettando i propri traffici verso Oriente, entrarono in contatto con queste specie arboree, comprendendone le qualità e favorendone la coltivazione in Italia settentrionale, cioè sulla riviera ligure e gardesana. Tuttavia non è possibile nemmeno ignorare che gli agrumi vennero portati per la prima volta in Occidente dagli Arabi, che li piantarono nei territori ad essi sottomessi nell’Italia meridionale e nella Penisola Iberica. Infine, non si può neppure non considerare l’impulso dato dalle Crociate per la diffusione di nuove piante dal vicino Oriente all’Europa, rendendo dunque impossibile riuscire a risalire con certezza e precisione cronologica alla prima apparizione degli agrumi sul Garda, che comunque dobbiamo con ogni probabilità datare ad un periodo anteriore all’arrivo dei figli di S. Francesco sulle sponde del Lago.
Le fonti e le testimonianze sull’agrumicoltura in Alto Garda divengono più abbondanti a partire dal XV secolo, quando viaggiatori, poeti, eruditi e studiosi di agricoltura non mancarono di descrivere dettagliatamente il paesaggio dei giardini di limoni che con gli ulivi si contendevano l’angusta striscia di terra tra l’acqua e la montagna.
L’Età Veneta si era già dischiusa per la Riviera di Salò quando, il 23 settembre 1464, l’antiquario Felice Feliciano, in compagnia dei pittori Andrea Mantegna e Samuele da Tradate, scriveva:
[…] per conforto dell’anima ce ne venimmo a Toscolano, attraverso il Benaco, ad orti verdi e paradisiaci nell’amenissimo sacrario delle Muse. Trovammo quel luogo non solo lieto e profumato dagli effluvi floreali dei rosai e delle fioriture purpuree, ma ombreggiato, altresì, per ogni parte, dai rami frondosi di limoni e di cedri […].
Si noti come, forse per accrescere il fascino bucolico, ed anzi mitologico, del territorio di Toscolano, l’Autore descriva la presenza «per ogni parte» di piante di limoni e cedri, testimonianza di una coltura che era andata via via assumendo crescente importanza in termini numerici e di occupazione del suolo disponibile.
Ben più celebre della gita di Feliciano col Mantegna e il Tradate, è il minuzioso viaggio che Marin Sanuto compì per i territori dello Stato da Terra veneziano e che venne descritto con dovizia di particolare nella relazione pubblicata nel 1483. Giunto a Maderno la sua ammirazione è egualmente rivolta alle chiese, al palazzo del capitano di Salò, che risiedeva «la metà del tempo a Maderno», e alla bellezza del luogo:
Qui è giardini de cedri, di aranci, e pomi d’Adamo infiniti: luoghi, concludendo, amenissimi, gentili et soavi, da essere abitati sempre. […] A Toscolano e Maderno […] un certo P. Francesco di Fossato ha una casa bellissima, e soave di cedri et granati, giardini molto eccellenti.
La gran quantità di piante di agrumi presente a Maderno e Toscolano doveva non avere paragone con i giardini degli altri paesi del lago, se Sanuto non fa menzione della presenza di limoni e aranci altrove, segnalando i due centri come i più importanti luoghi di coltivazione ancora alla fine del XV secolo.
Trascorrono cento anni e compare a stampa un’opera del bresciano Agostino Gallo di primo piano per l’agronomia: Leventi giornate dell’agricoltura, trattato di ampio respiro del 1584, diviso in «giornate», ciascuna dedicata ad un tema diverso. L’aggiunta alla settimana giornata descrive con ricchezza di particolari le tecniche impiegate per la coltivazione degli agrumi sul Lago di Garda, tra i quali Gallo annovera «cedri, limoni, aranci, pomi d’Adamo, e limonee», specie quest’ultima poco conosciuta ai tempi e ignota al lettore moderno, un frutto «di mezzo fra il detto pomo, e il limone».
Dopo una lunga descrizione delle varie tecniche di innesto e prima coltivazione delle piante, l’Autore prosegue indicando quali accortezze sono impiegate nei giardini per la piena riuscita del raccolto: concimazione, irrigazione attenta e continua, zappatura mensile attorno al tronco da marzo ad ottobre. Tutte queste operazioni, per la delicatezza ed accortezza con cui andavano svolte, richiedevano dei lavoratori specializzati, che «si pagano sempre un terzo di più al dì» rispetto ai normali braccianti agricoli e che si lusingavano «nel dar loro da mangiare meglio alle ore debite».
Ma certamente la testimonianza più importante e più interessante è quella relativa alla prassi di coprire, durante i mesi invernali, i giardini, proteggendo le piante dal gelo:
Sempre si coprono [i giardini] nel mese di Novembre, ora per tempo, e ora più tardi, a seconda che i giardinieri vedono il clima o dolce, o minaccioso di freddo […] E però non solamente è bene il coprirli per tempo; ma ancora bisogna avvertire, quando si coprono, che siano asciutti, perché ritrovandoli il freddo bagnati, facilmente si ghiacciano i frutti, e gli alberi.
Alle precise indicazione per preparare le piante alla copertura invernale, segue la descrizione meticolosa di come effettuare la chiusura dei giardini, che potremmo definire la prima descrizione delle limonaie, che non si ferma ad una generica segnalazione della presenza di «giardini» di agrumi:
Poi, perché comunemente i giardini hanno i muri intorno, e i pilastri di mattoni o di legnami grossi, si coprono di sopra con travi di castagna, o d’altro tipo buono, i quali siano proporzionati alla grandezza del sito. Ma bisogna vigilare che non vi piova dentro, soprattutto durante lo scioglimento delle nevi […]. Si chiudono ancora sempre le fessure d’ogni qualità con la stoppa, o col fieno minuto. E quando non vi regnano poi i venti freddi, e il Sole si fa vedere, si aprono quelle usciere, perché i raggi solari risplendano nelle piante, le quali si ricreano molto, mandando via da sé l’aria cattiva, e asciugando l’umidità; e poi come il Sole declina, si richiudono perché il freddo non vi entri.
Quando poi il gelo era particolarmente intenso si ricorreva anche all’accensione di falò all’interno delle serre. Per sapere quando ricorrere a questo espediente, i giardinieri ponevano dell’acqua in vasi sopra le finestre, vigilando sulla formazione del ghiaccio.
Al giungere della primavera infine,
I prudenti Giardinieri non sono frettolosi a scoprire i loro giardini del tutto; perché, sebbene molte volte il freddo finge di esser partito, ritorna all’improvviso talmente rabbioso, che con pericolo di morte ghiaccia tutti quegli alberi e frutti che si trovano scoperti.
Agostino Gallo sottolineava la dispendiosità di questo sistema di coltivazione, ma non mancava di evidenziarne i benefici in termini economici per la Riviera di Salò:
Non è dubbio alcuno, che sono molte fatiche, e anche più le spese che non si dicono; però vi assicuro che sono talmente maggiori le utilità del denaro che si ricavano da tali piante, che pochi giardinieri vi sono che non cavino di netto almeno cento scudi per ogni iugero di terra.
La ragione di tanta prosperità economica generata dall’agrumicoltura è da ritrovarsi nella florida rete commerciale europea, in cui i prodotti gardesani erano inseriti, fungendo il lago da naturale via d’acqua verso la pianura, e dunque verso Venezia e le città padane, e in direzione nord, aprendo quindi al commercio verso il Tirolo e le piazze del nord d’Europa. La vendita dei frutti era concentrata nei mesi di settembre e ottobre, quando i preziosi limoni venivano imbarcati verso nord, alla volta della Germania, dell’Ungheria, della Polonia e persino della Russia. Una volta giunti nei mercati di destinazione, gli agrumi gardesani potevano essere mangiati crudi, oppure utilizzati per la preparazione di confetture.
Già nel Cinquecento dunque, l’intelligenza, l’abilità e l’accortezza degli uomini del Garda Occidentale avevano generato una fitta rete di scambi commerciali tra la ristretta regione lacustre e i più remoti e ricchi mercati d’Europa, ponendo al centro di questi scambi i limoni. La posizione dei giardini, i più settentrionali al mondo dove si sono coltivati con profitto limoni, aranci e cedri, pose dunque delle sfide non indifferenti a quanti si ostinarono a porre a dimora gli agrumi sull’Alto Lago, determinando per questa impresa spese ingentissime e un utilizzo costante di forza lavoro. Tuttavia, proprio la posizione delle limonaie fu la chiave del loro successo, proiettandone i frutti ben al di là delle ristrettezze di un mercato locale o regionale, ripagando dunque gli «industriosi giardinieri» e i ricchi possidenti degli sforzi e delle spese intrapresi.
La limonaia San Sebastiano: dal XVI secolo ad oggi
Con i primi decenni del XVI secolo aumentò la domanda di frutti gardesani in tutta Europa, inducendo i mercanti e gli imprenditori locali a cercare nuove terre da adibire alla redditizia coltivazione degli agrumi e dunque i giardini, tradizionalmente concentrati tra Maderno e Gargnano, si spostarono ulteriormente a nord. Nel 1626, il provveditore veneziano Giovanni Maria Pesaro elogiò tutta la Riviera che da Salò sale sino a Limone per la grande «quantità di giardini che da trent’anni in qua è stata piantata dall’industriosità degli abitanti», collocando dunque la realizzazione delle prime limonaie a Limone sul Garda tra la fine del ’500 e i primi tre decenni del ’600.
Nonostante il secentesco declino economico, dovuto alla Guerra dei Trent’anni e alla pestilenza che colpì tutta Europa, la coltura degli agrumi si attestò come presenza stabile a Limone. La difficile congiuntura economica del XVII secolo fu ulteriormente aggravata da un irrigidimento del clima alla fine del secolo, che portò al verificarsi di fenomeni di freddo estremo, tra cui va ricordato il congelamento della Laguna di Venezia nell’inverno del 1709, che resero ancora più difficile la coltivazione dei limoni sul Garda.
Finalmente, con la metà del XVIII secolo i livelli delle colture gardesane tornarono a crescere, portando ad un nuovo periodo di espansione, che sarebbe durato anche dopo la caduta della Repubblica di Venezia. È durante questa fase di crescita che si può rinvenire la prima attestazione scritta di un agrumeto in località Corno. Una polizza assicurativa datata 6 giugno 1764, intestata a Giuseppe Torresani, recita:
Limone, Corno. Un giardino limonivo con tutti i suoi utensili attinenti; confina a mattino [ad est] la signora Anna Maria Amadei, col casello divisorio, a mezzodì [a sud], il lago a sera [a ovest], et a monte me medesimo salvis etc.
Sebbene questa sia la prima menzione della coltivazione degli agrumi presso la località Corno, non è tuttavia nel 1764 che il sito viene nominato per la prima volta in un documento. Già più di due secoli prima, il luogo veniva citato con il suo attuale toponimo in un estimo del 1556, in cui si elencano i proprietari dei piccoli appezzamenti di terreno della zona: Giovanni Pietro Amedei, Battista Girardi, Antonio Girardi, gli eredi di Antonio Patuti, gli eredi di Bernardino Girardi e tale Bernardino detto «il fabbro».
Nel successivo estimo, realizzato un secolo dopo, nel 1656, i proprietari di terre in località Corno sono Bernardo Gerardi e Stefano Terresano, entrambi in possesso di alcuni appezzamenti adibiti alla coltivazione di ulivi, cereali e ortaggi.
Come abbiamo visto, un secolo più tardi fa la sua comparsa nei documenti la limonaia menzionata nel 1764, che viene nuovamente indicata nel catasto napoleonico del 1810 come proprietà di Marianna Torresani, nipote del Giuseppe Torresani che aveva stipulato la polizza assicurativa. Dal catasto, il giardino risultava avere un’estensione di 1560 metri quadrati, mentre era presente un edificio adibito a deposito, articolato su tre piani, per un totale di 210 metri quadrati.
Nel nuovo catasto austriaco, la limonaia del Corno risulta essere di proprietà di Carlotta Carattoni, figlia di Marianna Torresani e Vincenzo Carattoni.
Il giardino e le sue pertinenze rimangono di proprietà della famiglia Carattoni sino al 1908, quando l’ingegner Giuseppe Comboni li acquistò. Il sito fu l’oggetto di una nuova compravendita nel 1941, quando divenne di proprietà di Luigi Padoin, al quale si deve la conservazione delle centenarie piante di limone fino ai giorni nostri. Fu infatti lui a preservare la produzione di limoni con l’istallazione, sebbene non storicamente accurata, ma comunque efficace, di serre metalliche con chiusure in vetro e materiale plastico, che hanno consentito la sopravvivenza delle antiche piante durante gli inverni gardesani.
La limonaia, con gli edifici annessi, è passata di mano in mano agli eredi di Luigi Padoin, sino all’acquisizione da parte dello European Heritage Project, che ne ha da subito rilevato l’importanza storica, come testimonianza di un’attività agricola quanto importante per la sponda occidentale del Lago di Garda, quanto ardita e indicativa della ferma e risoluta costanza degli abitanti di questi luoghi.
Cose da sapere e curiosità
La coltivazione dei limoni sul Garda
Limone sul Garda vanta il primato di essere il sito più settentrionale al mondo dove è stata intrapresa, con successo, la coltura su larga scala di agrumi, in particolare di limoni. Il clima mite del lago certamente ha favorito e permesso lo stabilirsi sulle sue rive occidentali di numerosi giardini di limoni, ma la sola clemenza del tempo non poteva certo bastare. Per far sì che le piante sopravvivessero ai freddi venti invernali, gli abitanti di questi luoghi dovettero ben presto ingegnarsi per porre al riparo le preziose piante e assicurare così ai contadini una generosa fonte di sostentamento, tanto prodiga da poter offrire sino a tre «spiccature», ossia raccolte, all’anno.
Le piante di limoni acclimatatesi in questi luoghi così a nord, prevalentemente appartenenti alla varietà “madernina”, che proprio sul Garda venne selezionata per via della sua resistenza al clima invernale, dovettero essere racchiuse in imponenti serre nei mesi più freddi, per poter continuare a prosperare. Si giunse quindi all’edificazione delle cosiddette «limonaie», enormi strutture terrazzate, munite di alti pilastri in pietra e spesse travi, su cui andava posata la copertura invernale.
Ogni terrazzamento, detto nel dialetto locale «còla» era collegato agli altri da scale in pietra, mentre l’intero giardino era chiuso su tre lati da una massiccia muraglia, garantendo così l’esposizione verso sud ed est e fermando i freddi venti settentrionali. A tale scopo, frequentemente venivano piantate a nord delle limonaie spesse file di cipressi, i quali, con le loro fronde, deviavano parzialmente l’aria gelida. In posizione centrale, o ad una delle estremità dei terrazzamenti, si trovava il casello, o «caṡèl», che fungeva da deposito dei materiali di copertura. Una volta posato per l’inverno, il tetto delle serre, spiovente all’indietro, s’appoggiava sui pilastri, legati alla base delle colonne del livello superiore, o con la muraglia, da grossi pali di castagno, del diametro di circa 30-40 cm, detti «sparadossi», in dialetto «sparadòs». Posti perpendicolarmente a questi, in cinque-sei linee tra loro parallele, erano fissate con chiodi altre travi più sottili, dette «canteri».
Generalmente a novembre si cominciava a coprire la limonaia: venivano dunque posate le assi per il tetto mentre, per il fronte esposto a sud-est, si disponevano vetrate intervallate ad assi verticali, i «mesì» o «assi di mezzo», e a sportelli apribili. Il tutto era accuratamente numerato, per consentire di anno in anno una facile collocazione delle diverse parti durante il montaggio della copertura. Sul fronte solare si procedeva alla posa degli elementi di chiusura sfruttando come orditura le tre travi in larice, dette «filaröle», tra loro parallele, inserite nei pilastri del medesimo livello, a tre altezze, bloccate ad un’estremità in una pietra ad incastro. Tra un pilastro e l’altro si fissavano in genere 5-6 assi di mezzo, 2-3 vetrate e 2 portiere.
Le assi di mezzo, lunghe dai 5 ai 7 metri e larghe 20-25 centimetri, erano costituite da due assi sovrapposte inchiodate, una più stretta dell’altra, in modo da formare una controbattuta. Erano fissate alle «filaröle» con cavicchi in legno. Le vetrate, lunghe anche queste dai 5 ai 7 metri e larghe 50 centimetri, erano formate da un telaio e da traversine in legno di abete, che facevano da supporto ai vetri. Venivano appoggiate sempre per il lungo alle assi di mezzo e fermate con assicelle in legno, che potevano girare intorno ad un chiodo. Le portiere, della medesima lunghezza e larghezza della vetrate, erano semplici tavole accostate in piano e unite con chiodi su tre assicelle trasversali. Essendo provviste di cardini, erano apribili, garantendo il ricambio d’aria all’interno della serra durante i giorni più miti dell’inverno.
A fine novembre la serra doveva essere ben chiusa e per tappare ogni fessura si utilizzava dell’erba fatta seccare. Un antico proverbio ricordava a tutti i giardinieri che il giorno di Santa Caterina, il 25 novembre, l’operazione doveva essere ultimata, e le piante ben riparate da ogni spiffero. Quando poi la temperatura scendeva sotto lo zero, l’unico mezzo a disposizione di contadini per salvare le piante e i preziosi frutti, era accendere dei fuochi all’interno delle serre, usando spesso i rami risultanti dalla potatura degli ulivi o di altre piante da frutto.
Questo sistema, che doveva rinnovarsi ogni anno col giungere dei primi freddi, risultava particolarmente dispendioso, sia per l’ingente quantità di materiale necessario, sia per la mole di manodopera che assorbiva, ma fu per secoli l’unico modo per le comunità dell’Alto Garda di sottrarsi alla scarsità di risorse alimentari ed economiche di cui erano provvisti quei luoghi sospesi tra le montagne e il lago.
La salvaguardia e il ripristino della coltivazione dei limoni sul Garda, ed in particolare a Limone, risulta ora importante non solo per consentire a questi luoghi di tornare ad essere luoghi di produzione, ma si impone come un necessario omaggio alla memoria di quegli uomini che, con la loro tenacia, resero possibile l’ardita impresa di coltivare agrumi a queste latitudini, costruendo un paesaggio unico al mondo.
Architettura
La limonaia del Corno si presenta come un complesso sistema di strutture murarie, edifici e scalinate che dall’accesso principale scendono, per circa un centinaio di metri di dislivello, verso il lago. Accedendo dall’ingresso carraio, si incontra un vasto uliveto disposto su stretti terrazzamenti che arrivano sino alle spalle dell’abitazione principale, il primo dei tre edifici che compongono la proprietà. Questo immobile è stato costruito nel corso degli anni ’30 del secolo passato e, pur non rivestendo grande importanza da un punto di vista architettonico, è da ritenersi uno dei fiori all’occhiello dell’intera struttura. La sua posizione, sopra gli alti terrazzamenti dell’antico giardino di limoni, consente di godere di una vista meravigliosa, che spazia per chilometri sulle acque e sulle sponde del Lago di Garda. L’abitazione principale è raggiungibile anche attraverso un vialetto d’accesso in piano, coperto da una bucolica pergola di glicine, che da un cancellino pedonale entra dalla strada che congiunge la limonaia direttamente col paese.
Scendendo ancora, si incontrano dunque gli imponenti terrazzamenti destinati in passato ad accogliere le piante di agrumi, realizzati con grandi muri in pietra calcarea locale. I muraglioni di contenimento presentano la caratteristica struttura ad arco cieco a tutto sesto, che conferisce alla costruzione maggiore leggerezza, senza però incidere negativamente sulla stabilità. Ad intervalli regolari sono presenti dei pilastri di rinforzo, che servivano anche da base alle ormai abbattute colonne di sostegno della struttura di copertura delle serre. All’estremo est di questo settore di terrazzamenti si trova il cosiddetto «casél» o «casello», il deposito dove venivano stoccati i materiali di copertura delle serre durante i mesi caldi, quando cioè le piante erano esposte all’aria aperta. Il «casello» affiora direttamente dalla riva del lago ed è collegato con l’acqua tramite uno scivolo, che consentiva il rimessaggio di una piccola imbarcazione nell’apposito locale ricavato al piano terreno dell’edificio. Dalla grande stanza al secondo piano è possibile godere ancora di una magnifica vista, così come pure dalla terrazza collocata all’ultimo piano e coperta da una deliziosa pergola. Sul lato est del casello si estendono altri terrazzamenti per l’agrumicoltura, del tutto simili a quelli già incontrati, che collocano dunque questo edificio, probabilmente risalente al ’700, al centro del sistema dei giardini di agrumi.
Scendendo la riva in direzione ovest invece, si incontra l’evocativo porticciolo coperto, che serve esclusivamente la proprietà. Sorto come approdo per le imbarcazioni che giungevano per prelevare i preziosi limoni qui coltivati, è stato poi adibito a molo privato dai precedenti proprietari della limonaia.
Appena sopra il porticciolo, si innalza l’ultimo dei tre edifici presenti: la residenza del custode. Abitazione semplice, di estrazione contadina, è stata realizzata presumibilmente nel corso dell’Ottocento, quando un giardiniere si stabilì nella limonaia. Pregevole risulta essere la grande terrazza che sovrasta l’approdo e che si protende verso i terrazzamenti in direzione est.
Proseguendo verso l’estremo occidentale della proprietà si giunge, attraversando un altro sistema di strette balze coltivate ad ulivi, ad una piccola baia artificiale, di forma tondeggiante. Essa era utilizzata come piscina, per consentire una balneazione sicura nelle profonde acque del lago, solcato in questo punto da forti correnti.
Condizione strutturale al momento dell’acquisto
Nonostante l’aspetto di trascuratezza del luogo, gli edifici e le strutture portanti dei terrazzamenti risultavano generalmente in buono stato di conservazione, in quanto abitati sino a pochi anni prima dell’acquisizione da parte dello European Heritage Project. Sebbene risultassero ben preservati i muraglioni a sostegno delle balze del terreno, con le tipiche arcate cieche a tutto sesto, non erano più presenti i pilastri di sostegno della copertura delle serre, abbattuti nel secolo scorso perché ormai pericolanti. Degli antichi e scomparsi pilastri si conservavano solo i basamenti, anch’essi in buono stato.
L’aspetto complessivo dei muri di terrapieno e dei muretti, che delimitavano le diverse aree del giardino, denotava una manutenzione continuativa ed attenta, realizzata nel rispetto delle tecniche tradizionali da lavoratori del luogo, che ha consentito ai terrazzamenti di mantenersi staticamente stabili. Nel secondo di questi terrazzamenti era presente anche un pozzo ancora funzionante, parte integrante del sistema di irrigazione a goccia ancora oggi visibile nelle canalette scavate nella pietra e nelle canalizzazioni sotterranee.
Purtroppo, come si è detto, l’antica struttura di supporto delle coperture della limonaia era stata distrutta per far spazio a un sistema di chiusura più moderno, ma del tutto inaccurato da un punto di vista storico, realizzato in tubi metallici, vetro e pannelli di plastica flessibile. Solo al secondo e al terzo dei tre terrazzamenti originariamente adibiti ad agrumeto, erano ancora coltivate alcune piante di limone, largamente sostituite nel resto del terreno con alberi da frutta di diversa natura. Di particolare interesse erano tuttavia le piante superstiti, che per le notevoli dimensioni sono da ritenere di antica coltivazione. Le diverse piante, sebbene curate sino a pochi anni prima dell’acquisizione, giacevano, al momento dell’arrivo dello European Heritage Project, in stato di abbandono, con i rami che erano cresciuti in maniera incontrollata e circondate da erbe alte che contribuivano all’esteriore trasandatezza dell’intero sito. L’uliveto, posto alle spalle dell’abitazione principale, organizzato in numerosi terrazzamenti che salgono rapidamente verso la strada posta a monte della struttura, era in condizioni del tutto simili, con gli alberi privati da alcuni anni delle necessarie cure, così come pure il manto erboso.
Il “casello”, l’edificio di maggior rilievo storico, pur nella sua semplicità, è disposto su tre piani che si ergono direttamente dalla riva del lago, e al momento dell’acquisto si presentava in buono stato di conservazione. La struttura era stata tuttavia fortemente alterata nel corso del secolo scorso, con la realizzazione di un’apertura al piano più basso e la realizzazione di uno scivolo di discesa in acqua per le imbarcazioni, adibendo dunque il piano inferiore a rimessaggio. Nel primo piano, raggiungibile con una scala esterna, era invece stato allestito un soggiorno, mentre all’ultimo piano era stata realizzata una terrazza panoramica coperta da un pergolato.
L’abitazione principale non presentava problemi di statica e allo stato di abbandono esterno, si opponevano le condizioni generalmente buone degli ambienti interni. Gli infissi erano in buone condizioni, così come pure gli impianti idrico ed elettrico, sebbene ormai datati.
L’edificio in maggiore stato di degrado era certamente la casa del custode, abitata al secondo piano da quest’ultimo che, pur vivendovi, non aveva effettuato per anni i minimi ed indispensabili lavori di manutenzione e mantenimento degli ambienti, che risultavano dunque del tutto compromessi. Anche qui tuttavia, non sono stati rilevati problemi strutturali.
Il porticciolo era ancora servibile, ma necessitante di manutenzione sia per quel che riguardava la cancellata e le altre strutture metalliche, nonché per ciò che concerneva la copertura, ormai sofferente per i segni del tempo e delle intemperie. Anche la vicina piscina costruita direttamente nel lago, ricavata attraverso la realizzazione di una piccola baia artificiale, posta all’estremo occidentale della proprietà, necessitava di lavori di ripristino delle strutture metalliche, ormai consumate dalla ruggine.
Infine, l’autorimessa e il piazzale d’accesso, che si affacciano sulla strada che congiunge la località “Corno” con il centro del paese, e che sono collegati agli edifici della proprietà medianti ripide scalinate che scendono all’interno dell’uliveto, erano in stato di abbandono ed ormai del tutto insufficienti. Così pure si presentava bisognosa di manutenzione, ma comunque senza presentare problemi di statica, la cisterna realizzata sotto il piazzale d’ingresso, riempita con l’acqua del lago attraverso l’uso di una pompa.
Interventi di restauro e di conservazione
I primi lavori effettuati hanno riguardato l’abitazione principale e la casa del custode, essendo edifici di scarso valore storico e dunque bisognosi di interventi meno complessi per essere riportati allo stato di abitabilità. Per entrambi si è proceduto ad una drastica riorganizzazione degli spazi interni, attraverso la demolizione delle tramezze e la costruzione di nuovi muri, per consentire una migliore e più efficace distribuzione degli ambienti. La nuova suddivisione ha consentito la creazione, nella cosiddetta casa del custode, di alcune camere indipendenti fornite di bagno, da adibire a stanze per gli ospiti mentre, nella casa principale, la ridefinizione degli spazi ha consentito di creare un alloggio di maggiore pregio e in linea con gli standard abitativi attuali.
In entrambi gli edifici sono stati sostituiti tutti gli impianti ed installato un moderno ed efficiente sistema di climatizzazione. Anche i pavimenti sono stati rifatti, optando per la posa di un parquet laminato di colore scuro in tutti gli ambienti, eccetto che nei bagni. In questi, sono stati sostituiti i sanitari e posato un nuovo pavimento molto scuro. Anche tutti gli intonaci sono stati ovviamente rifatti, scegliendo come tinta un bianco naturale conferendo, insieme con la semplicità della pavimentazione, un aspetto genuino agli interni, in linea con le strutture e col passato contadino del sito, pur nell’eleganza complessiva generata dalla combinazione dei materiali e dei colori impiegati.
Gli infissi interni hanno richiesto la sostituzione completa, scegliendo delle porte più coerenti con i nuovi rivestimenti. Per quanto riguarda le finestre, quelle dell’abitazione principale sono state mantenute, attraverso alcuni interventi di manutenzione degli elementi mobili, la riverniciatura di quelli lignei e la posa di doppi vetri, per implementare l’isolamento termico. Nella ex-casa del custode invece, le condizioni degli infissi erano tali da aver richiesto un rimpiazzo completo di tutti gli elementi, realizzati ex-novo secondo il modello di quelli originali, nel rispetto dei moderni standard di efficientamento energetico.
Il “casello” sarà presto oggetto di lavori volti alla conservazione di questo edificio tipico, parte integrante di quell’ardito sistema di coltivazione che furono le limonaie e testimonianza del passato contadino del luogo. I lavori saranno volti all’ammodernamento degli impianti e al ripristino dell’ambiente adibito a soggiorno. Verrà anche risistemato il locale di rimessaggio con il relativo scivolo di accesso al lago.
L’intervento più vasto sarà volto al recupero strutturale e funzionale dell’antico giardino di limoni. Sfruttando le ancora esistenti fondazioni dei vecchi pilastri, verificatone il buono stato di conservazione e l’assenza di problemi di statica, verranno realizzate delle nuove colonne. Tradizionalmente, i pilastri erano costruiti con pietre squadrate, che venivano posate con la malta a formare sottili piedritti, spesso soggetti a problemi statici. Per ovviare ai rischi che simili strutture portano con sé, i nuovi pilastri verranno realizzati secondo le moderne tecniche di ingegneria, con l’impiego di un getto di cemento armato; verranno poi intonacati a calce per conferirvi un aspetto più conforme ai muraglioni superstiti e dunque all’immagine storica del sito.
Sulla sommità dei pilastri verranno inserite le grosse travi di collegamento tra le colonne di due diverse file, dette «sparadoss» e realizzate, secondo la tradizione, in legno di castagno, mentre a collegare in tre punti le colonne adiacenti della medesima fila saranno, sempre secondo le antiche tecniche di costruzione, delle travi in legno di larice, le cosiddette «filarole». La copertura verrà realizzata con tavole d’abete accostate, anche in questo caso nel pieno rispetto della tradizione, mentre sul fronte verranno montate le caratteristiche «invetriate», pannelli smontabili in legno d’ abete e vetro che, oltre a consentire il passaggio della luce i mesi freddi, consentiranno l’apertura della serra nelle più miti giornate d’inverno, favorendo il necessario ricambio di aria.
L’ovvia eliminazione delle strutture in metallo, vetro e plastica realizzate a protezione delle piante a metà del ’900, avverrà nel rispetto delle specie arboree presenti. Nell’operazione verrà quindi prestata particolare cura alla conservazione degli agrumi e delle vigne già esistenti, provvedendo le piante di sostegni adattati alla nuova struttura. Verrà riattivato il sistema di canalette originali in pietra, alimentate a caduta dal serbatoio interrato posto a monte, sotto il piazzale d’ ingresso.
Tutti I percorsi interni alla limonaia, oggi in pietra di porfido non originale, verranno rifatti con lastre di pietra di Verona anticata.
Sono stati realizzati gli allacciamenti all’ acquedotto comunale e alla rete fognaria posando, per lo smaltimento delle acque reflue e l’approvvigionamento di acqua potabile, delle nuove tubazioni, interrate sotto il vialetto pedonale di accesso.
Le nuove esigenze produttive richiederanno l’ampliamento del cancello d’accesso carraio, che si affaccia sulla strada che conduce al centro del paese di Limone, o verso la strada Gardesana che costeggia il lago nella sua interezza. Anche il piazzale di parcheggio degli automezzi dovrà essere ampliato con il trasferimento di quattro piante d’ulivo non secolari, che verranno poi piantate poco lontano. Lo spiazzo così ottenuto sarà pavimentato con lastre di pietra di Verona, appoggiate ed ancorate al terreno ed intervallate dall’erba.
Si procederà inoltre alla realizzazione di un portico ad uso deposito, parzialmente interrato sotto il piazzale. La nuova superficie coperta servirà ad immagazzinare il liquore prodotto in un ambiente fresco ed asciutto.
Infine, è prevista la realizzazione di una piscina nel giardino adiacente l’abitazione padronale. La vasca avrà forma oblunga, riecheggiando così la foggia degli antichi fontanoni, i «fontanù», ubicati a monte dei giardini di limoni, che fungevano da vasca di raccolta e riserva d’acqua ad uso irriguo. Il bordo della vasca verrà costruito con blocchi di tufo analoghi a quelli che si utilizzavano anticamente per i pilastri, mentre le pareti e il fondo dell’invaso, realizzati in cemento armato, saranno rivestiti con lastre di travertino resinato di colore verde smeraldo, al fine di conferire all’acqua una tinta naturale. I filtri e le pompe saranno raccolti in un pozzetto interrato.
La realizzazione di tutte le opere non comporterà l’alterazione della morfologia del terreno né del suo andamento altimetrico, inserendosi armoniosamente nell’insieme delle strutture del sito.
Utilizzo attuale e prospettive future